Le Streghe di Salem: recensione del film di Rob Zombie

Tremate, tremate, Le Streghe di Salem son tornate, e con loro ritorna sul grande schermo uno degli autori più irriverenti ed eclettici del panorama contemporaneo; Rob Zombie. In questo suo quinto lungometraggio Zombie rispolvera un tema non proprio originale, quello della stregoneria, cercando di attualizzarlo introducendo come filo conduttore la tematica della musica ed i suoi effetti subliminali. Il regista infatti presenta il Male come un qualcosa che proprio tramite la musica ha la possibilità di ritornare e di scatenare dal passato i suoi terribili effetti, complice la ritrita tematica di una maledizione perpetrata attraverso le generazioni.

 

In Le Streghe di Salem Heidi è una giovane deejay di una piccola emittente della cittadina di Salem, conosciuta per la grande caccia alle streghe di fine ‘600. Un giorno la ragazza riceve una misteriosa scatola di legno contenente un disco in vinile appartenente ad uno sconosciuto gruppo musicale chiamato I signori di Salem. Incuriosita, Heidi decide di ascoltarlo. Sarà solo l’inizio di una serie di oscuri eventi che riporteranno in vita un male celato da tempo.

Malgrado i buonissimi propositi purtroppo l’opera ultima di Zombie è da considerasi come un vero e proprio fallimento su più fronti, primo fra tutti la sceneggiatura, alquanto mediocre e per nulla originale, piena di cliché del genere e di svolte narrative troppo prevedibili. Zombie inoltre annulla del tutto il suo stile, proponendo un’estetica piatta ed anonima, sintomo di una regia in chiara fase di regressione. Unici momenti in cui la vena dell’autore emerge sono le scene oniriche, obiettivamente impeccabili e stilisticamente visionarie, dove però purtroppo Zombie si lascia prendere troppo la mano, mettendo in atto una gratuita e (forse troppo) estrema blasfemia religiosa che in alcuni punti rasenta un fastidio viscerale che permane durante e dopo la visione. Siamo ben lontani dall’intelligente e gustosa struttura scenica de La casa dei 1000 corpi, poiché ci troviamo dinnanzi ad una fotografia estremamente povera e lontana anni luce dalle esplosioni psichedeliche a cui Zombie ci aveva abituati.

Altri punti dolenti sono i dialoghi, troppo ingenui e fastidiosamente ridondanti di citazioni di genere che toccano punti di ridicolo ed un parco attoriale sommariamente costruito, su cui campeggia la musa Sheri Moon in versione rasta ed intenta più a mostrare le priore nudità che a dedicarsi alla recitazione. Completano il cast un famelico terzetto stregonesco formato da Dee Fallace, Particia Quinn e Maria Alonso, in una ridicola versione dark di Disperate Housewives. Uniche note di colore sono le deliranti musiche dei John 5, perfettamente amalgamate con l’atmosfera del racconto e le numerose citazioni sul cinema di genere del passato (Meliés e i noir su tutti), testimoniando come il regista abbia forse voluto palesare la finzione del meccanismo cinematografico fino a creare l’illusione di una sacra rappresentazione in stile orrorifico.

Un film che, al di là delle numerose pecche e meccanismi poco azzeccati, lascia indubbiamente un segno indelebile nella mente dello spettatore, un film da amare o odiare, ma che farà parlare molto di se.

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RASSEGNA PANORAMICA
Matteo Vergani
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Matteo Vergani
Laureato in Linguaggi dei Media all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, studiato regia a indirizzo horror e fantasy presso l'Accademia di Cinema e Televisione Griffith di Roma. Appassionato del cinema di genere e delle forme sperimentali, sviluppa un grande interesse per le pratiche di restauro audiovisivo, per il cinema muto e le correnti surrealiste, oltre che per la storia del cinema, della radio e della televisione.
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