Arriverà con alle spalle un grande trionfo in terra natia, e tutti gli amanti del grande cinema qui in Italia lo aspettano trepidanti. È Lincoln, di Steven Spielberg, che dopo essere stato applaudito a scena aperta negli USA nei mesi passati, arriva da noi il prossimo 24 gennaio. L’amatissimo regista americano ritorna a splendere in tutto il suo talento registico dimostrando che il grande autore riesce a mettersi al servizio della storia senza per forza insistere per farne parte.

 

Lincoln racconta dei quattro mesi che hanno portato il Congresso degli Stati Uniti a votare in maniera favorevole il XIII Emendamento, quello che aboliva per sempre la schiavitù in territorio americano, e si conclude con la tragica morte dell’amatissimo Presidente. Steven Spielberg ci racconta “l’altro” Lincoln, quello che è disposto anche a giocare sporco per raggiungere il suo proposito, nel momento in cui ha il potere per cambiare in nome del bene il corso della Storia. Un taglio coraggioso che si sposa bene con il punto di vista adottato dal regista, ovvero quello dei salotti, degli interni e delle aule, dove i rapporti politici e umani si intrecciano e “fanno” la Storia della modernità, così come la conosciamo.

Spielberg realizza un vero e proprio trattato sulla politica, senza anteporre schieramenti ma sostenendo la validità della stessa come attività sociale alla base di uno Stato libero. La regia di conseguenza quasi sparisce, lascia andare le infinite possibilità spettacolari che il periodo storico raccontato (la Guerra di Secessione Americana) lasciava aperte, e preferisce spostarsi negli interni in cui la luce naturale che entra quasi con violenza dalle finestre, lotta contro l’ombra che si annida negli angoli delle camere. In Lincoln è la luce stessa a raccontare e commentare, come mirabilmente riesce a fare grazie al supporto di uno Janusz Kaminski in stato di grazia.

Lincoln

Ad una regia misurata e impeccabile si accompagna una prova collettiva del cast di straordinaria potenza comunicativa, a partire dal protagonista nei panni dell’altissimo e un po’ curvo Presidente Lincoln, Daniel Day-Lewis, passando per una Sally Field (Signora Lincoln) appassionata eppure sferzante, fino ad un incredibile Tommy Lee Jones, solido, granitico eppure incommensurabilmente dolce nel momento in cui con grande candore mostra le sue ragioni più personali e profonde. Pur presentandosi in maniera così intimamente sontuosa, Lincoln è un film di lenta carburazione, cominciando un po’ a fatica e proiettando solo in un secondo momento lo spettatore in una corsa contro il tempo, in una caccia all’ultimo voto, all’ultimo SI.

Ad accompagnare le immagini con la musica, ancora una volta, Spielberg ha chiamato il Maestro John Williams, che per una volta mette da parte i suoi potenti ottoni e le sue note concitate per dare voce a tonalità delicate e spesso addirittura malinconiche, discrete, che riescono a raccontare più di tante parole, insieme ai volti, alle rughe dei protagonisti. Lincoln è un film di una grande potenza emotiva, che in pochi momenti indulge nell’enfasi tanto cara al regista americano, ma che si colloca tra le migliori prove registiche di Spielberg. Daniel Day-Lewis è senza dubbio il miglior Lincoln cinematografico mai visto fino ad ora, e Lincoln è il miglior film mai realizzato sul 16° Presidente degli Stati Uniti d’America.

Lincoln

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Chiara Guida
Laureata in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza di Roma, è una gionalista e si occupa di critica cinematografica. Co-fondatrice di Cinefilos.it, lavora come direttore della testata da quando è stata fondata, nel 2010. Dal 2017, data di pubblicazione del suo primo libro, è autrice di saggi critici sul cinema, attività che coniuga al lavoro al giornale.
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