La designazione di L’innamorato, l’arabo e la passeggiatrice a Film della Critica da parte del SNCCI – Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani – rischia di far insospettire qualcuno, ma non è una scelta banale e si spera che possa aiutare un titolo tanto interessante quanto difficile da inquadrare. Alain Guiraudie sa di avere un suo pubblico, “che non ha necessariamente bisogno di convincersi che non è bene picchiare la propria moglie o rifiutare gli stranieri” (come dice lui), eppure non è solo a quello che si rivolge la storia distribuita al cinema a partire dal 27 aprile da Satine Cult, il nuovo label di Satine Film dedicato alle voci cinematografiche più audaci e originali del cinema contemporaneo. Come è quella del “giocoso e serissimo” regista di Lo sconosciuto del lago e Rester vertical.
La Francia di Alain Guiraudie
Con L’innamorato, l’arabo e la passeggiatrice siamo nella tranquilla Clermont-Ferrand, in un momento particolare, nel quale il quieto vivere del trentacinquenne Médéric (Jean-Charles Clichet) e dei suoi concittadini è scosso da un inaspettato attacco terroristico di apparente matrice islamica. Un evento che più che sconvolgere le abitudini dei più, li porta a dubitare di tutto finendo per adottare comportamenti che sono quelli di tutti, nella Francia di Alain Guiraudie e nostri.
Questo è il contesto, però, nel quale il giovane solitario si dichiara alla matura Isadora (una incredibile Noémie Lvovsky), prostituta della quale si è innamorato e con la quale vorrebbe avere un rapporto diverso dagli altri clienti, non a pagamento. Un rapporto che scatena la gelosia del marito della signora e il sospetto dei vicini di casa che lo vedono aggirarsi nella zona residenziale dove vive la coppia.
La soluzione? Spostarsi nel più centrale condominio di Médéric, dove tutti sono in subbuglio per l’arrivo del giovane Selim (il debuttante Iliés Kadri), arabo senzatetto apparso proprio la sera dell’attentato e accolto da alcuni condòmini più generosi. Forse ricercato dalla polizia, sicuramente braccato dagli altri musulmani della zona, il ragazzo diventa il fulcro di una serie di dubbi e ambiguità stabilendo rapporti diversi con tutti i soggetti coinvolti, mentre cercano di portare avanti le loro vite.
Un mix di reale e surreale che racconta molto di noi
Dall’apertura della sezione Panorama del 72simo Festival di Berlino alla 40sima edizione del TFF Torino Film Festival, il percorso di questo film dal titolo d’altri tempi sembra esser stato quello giusto per arrivare alla distribuzione in sala, dove non è stato possibile vedere molti dei precedenti del regista. Che, come si legge nella motivazione del SNCCI, “affonda il suo sguardo originale nelle paure e nelle nevrosi della società contemporanea, realizzando un’opera che, senza filtri, sfida i luoghi comuni e coglie appieno lo spirito del tempo in cui viviamo“.
Una rappresentazione tanto comune quanto incredibile, che rovescia continuamente sé stessa e le aspettative dello spettatore. Come anche certi pregiudizi – innati, spesso inconfessati o inammissibili – resi qui parte della narrazione con una semplicità che li ridicolizza e in maniera coerente con uno stile e una forma mai patinati o compiaciuti, spiazzanti nel loro iperrealismo e quasi respingenti. Se i personaggi sono adorabili nella loro spaesante schiettezza e naïveté, infatti, la loro capacità di seduzione è pressoché nulla, con una – volutamente – conseguente difficoltà di immedesimazione che permette però di mantenere una distanza utile a osservare la messa in scena di molte nostre nostre paure e paranoie.
Lo humour di Guiraudie non piacerà a tutti, come il suo surreale naturalismo, ma – nonostante un andamento diseguale e qualche pausa di troppo – sarà un piacere vedere un film come il suo per chi cerca storie e tagli inusuali. Una storia di amori complicati, sesso libero e umanità nascosta in bella vista, coraggiosamente ostentata quando non rassegnatamente accettata, nella quale la solidarietà e l’empatia sovrastano la xenofobia dilagante e passivamente radicatasi nel nostro quotidiano. Un viaggio divertente e sommessamente (ma potentemente) satirico in una di quelle periferie dove nessun nemico vero arriverà mai, ma che spesso finiscono per aggrapparsi al terrore per rompere la monotonia. E la dimostrazione che una via ‘della leggerezza’ è possibile.