L’uomo sulla strada, la recensione del film di Gianluca Mangiasciutti

La pellicola, opera prima del regista, è stata presentata ad Alice nella Città e ha vinto il Premio Solinas come miglior soggetto

L'uomo sulla strada recensione film

Gianluca Mangiasciutti si posiziona ufficialmente dietro la macchina da presa con L’uomo sulla strada, per regalare una pellicola drammatica dalle venature romantiche che sancisce il suo esordio in regia. Per corroborare il suo prodotto, il regista cala nei panni dei suoi protagonisti un’intensa Aurora Giovinazzo, conosciuta soprattutto per Freaks Out, e un cupo Lorenzo Richelmy dallo sguardo magnetico.

 

L’opera prima di Mangiasciutti è stata presentata ad Alice nella città, sezione a parte della Festa del Cinema di Roma 2022. Il film può vantare già una vittoria, ossia il Premio Solinas come miglior soggetto scritto. L’uomo sulla strada è distribuito da Eagles Pictures e arriverà nelle sale italiane dal 7 dicembre.

L’uomo sulla strada, la trama

Irene (Aurora Giovinazzo) ha 8 anni quando, in una mattinata trascorsa in compagnia del padre a raccogliere funghi, si trova ad assistere alla sua morte improvvisa. Il colpevole, il cui volto lei vede attraverso il finestrino della sua utilitaria, fugge via senza neppure soccorrerlo o chiedere aiuto. Passano dieci anni, la sua vita è cambiata. Essendo lei l’unica testimone dell’incidente, nessuno è riuscito a trovare il pirata della strada, ma Irene è decisa a scovarlo e fargliela pagare. Non ha altri obiettivi nella vita, se non quello di ricordarsi il suo volto che da allora la tormenta.

Quando inizia a lavorare in una fabbrica, abbandonando momentaneamente la scuola, la ragazza incontra Michele (Lorenzo Richelmy), il proprietario, nonché unico responsabile della morte del padre. Lei non lo riconosce, non sa chi sia. Lui invece non ha dubbi a riguardo, e dopo l’incontro con Irene il senso di colpa inizia a crescere a dismisura. I due però cominciano a frequentarsi e gradualmente a provare dei sentimenti l’uno per l’altra, in una relazione pericolosa che nasconde un terribile segreto.

Una narrazione che si ferma in superficie

Mangiasciutti predispone la narrazione con un incidente scatenante intrigante, ponendo sul piatto diegetico un thriller che sembra strutturarsi su buone premesse. Il regista decide di focalizzarsi sulla protagonista, Irene, con un approccio quasi totalizzante, conferendole un temperamento impulsivo/aggressivo su cui tenta di fare un lavoro di formazione. Giovinazzo a primo impatto sembra ricordare l’Amanda Clarke di Revenge: in questo caso il suo obiettivo è trovare l’assassino del padre, anche a costo di mettere a repentaglio la sua vita già molto incrinata. La ricerca ossessiva, che dovrebbe permeare tutto il tessuto narrativo di L’uomo sulla strada, dopo alcune sequenze diventa però quasi effimera e nel progredire del racconto si discioglie come ghiaccio al sole.

Il desiderio di vendetta inizia gradualmente a non scandire più le scene che si susseguono dopo il primo atto, cedendo il passo solo alla tematica amorosa rappresentata dalla relazione pericolosa e fragile di Irene e Michele che, nel tentativo di stabilizzarsi in fretta all’interno della pellicola, perde un po’ di mordente. Molti anche i momenti appena accennati e ai quali non si concede lo spazio di un approfondimento per raggiungere un climax ultimo pregno di patos. Lo script attraverso cui i personaggi devono costruirsi non sembra porre l’accento sulla loro tridimensionalità, ed è come se la mdp avesse paura ad andare oltre, fermandosi in superficie tramite un montaggio di primi piani che purtroppo però oltre a restituire le emozioni del momento – grazie alla bravura degli attori e al setting ridotto all’osso per risaltarne la presenza – non riesce a connettere davvero lo spettatore al vero cuore dei protagonisti.

Il punto di forza è la suspense

L’universo hitchcockiano si è sempre fondato sull’elemento della suspense come meccanismo principale per confezionare un prodotto attrattivo. Tale tecnica, che costituisce il punto cardine delle pellicole del cineasta – si ricordi La finestra sul cortile o Pyscho – è sempre stata indispensabile per avere una fruizione il cui effetto ansiogeno è predominante. Lo spettatore è indotto a partecipare attivamente nonostante non possa agire direttamente da buon voyeur quale sia, e questo induce ad avere uno sguardo sulla scena molto più trepidante. Il successo di un buon thriller sta nel saperlo usare con astuzia, e Mangiasciutti riesce ad inserirlo in modo funzionale in L’uomo sulla strada.

Sin dalla prima sequenza dell’omicidio si conosce il volto del pirata della strada, ma mai quello del padre, le cui fattezze rimangono ignote per poter veicolare l’attenzione esclusivamente sull’assassino, unica vera ossessione di Irene. Questo artificio narrativo il regista lo sfrutta per stabilire la rotta attraverso cui il racconto si dipanerà, che non è approfondire la fragilità psicologica della protagonista a causa del trauma, ma piuttosto il legame con il colpevole del reato. Quando la vita di Irene comincia a intrecciarsi inconsapevolmente con quella del “killer”, il loro rapporto agli occhi di chi lo osserva oltre la quarta parete diventa molto più inquietante.

Lo spettatore, a differenza della protagonista, sa cosa è realmente accaduto e soprattutto conosce l’identità della persona che le sta di fronte. In tal modo egli vive quell’ansia caratterizzante della suspense che lo induce a domandarsi cosa succederà quando la verità sarà portata alla conoscenza di Irene. È questa la principale ragione per cui l’attenzione rimane alta, nonostante la presenza di alcune scene statiche.

È chiaro dunque che L’uomo sulla strada sia stato più un test per Mangiasciutti, una preparazione del terreno per le prossime opere il cui risultato sarà di certo più completo e approfondito. I presupposti ci sono tutti affinché il regista possa creare storie di un livello alto, sia nella disposizione narrativa che contenutistica. Seppur nella pellicola si evinca la sofferenza nel dispiegare la storia, non si può negare che Mangiasciutti conosca l’arte della cinematografia. Semplicemente, con il tempo, saprà masticarla meglio.

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RASSEGNA PANORAMICA
Voto di Valeria Maiolino
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Valeria Maiolino
Classe 1996. Laureata in Arti e Scienze dello Spettacolo alla Sapienza, con una tesi su Judy Garland e il cinema classico americano, inizia a muovere i primi passi nel mondo della critica cinematografica collaborando per il webzine DassCinemag, dopo aver seguito un laboratorio inerente. Successivamente comincia a collaborare con Edipress Srl, occupandosi della stesura di articoli e news per Auto.it, InMoto.it, Corriere dello Sport e Tutto Sport. Approda poi su Cinefilos.it per continuare la sua carriera nel mondo del cinema e del giornalismo, dove attualmente ricopre il ruolo di redattrice. Nel 2021 pubblica il suo primo libro con la Casa Editrice Albatros Il Filo intitolato “Quello che mi lasci di te” e l’anno dopo esce il suo secondo romanzo con la Casa Editrice Another Coffee Stories, “Al di là del mare”. Il cinema è la sua unica via di fuga quando ha bisogno di evadere dalla realtà. Scriverne è una terapia, oltre che un’immensa passione. Se potesse essere un film? Direbbe Sin City di Frank Miller e Robert Rodriguez.
luomo-sulla-stradaMangiasciutti nel suo esordio alla regia decide di concentrarsi su un thriller dalle venature romantiche ma complesse. I presupposti per un buon prodotto ci sono tutti, ma nel progredire della storia si evince la difficoltà del regista nell'approfondirne le dinamiche e gli aspetti, riuscendo a smussare poco una pellicola che rimane ancora spigolosa. L'elemento della suspense, al contempo, è ciò che invece riesce a maneggiare meglio. Tale tecnica fa sì che la soglia d'attenzione non vacilli.