Marigold Hotel: recensione del fim con Judy Dench

Marigold Hotel recensione film

In Marigold Hotel la vecchiaia è una brutta bestia, chi c’è arrivato lo dice, e chi ci è prossimo lo ripete. Ma che fare quando l’età e la vita sono arrivate alla loro naturale fine e ormai ‘manca poco’? Così un gruppo di pensionati si ritrovano in un fatiscente albergo indiano, con l’intento di passare lì i loro ultimi anni di vita. Ognuno di loro ha una sua propria storia e ad ognuno la colorata e caotica India regalerà esperienze, chiarezza e visione del futuro che prima sembrava preclusa.

 

C’è Evelyn, il filo conduttore del racconto: attraverso i suoi occhi scorgiamo la meraviglia verso la novità, verso il mistero e l’ignoto che un’avventura offre sempre a chiunque la sappia intraprendere, a qualunque età. C’è Graham, Giudice della corte suprema che torna in India alla ricerca del suo amore perduto. Ci sono Jean e Douglas, ridotti in povertà dall’impresa della figlia, che sperano di trovare qualcosa di stimolante nella loro nuova vita, ma la meraviglia pervade solo chi è disposto ad accoglierla, e così non sarà per Jean, provata fisicamente ed emotivamente dal soggiorno forzato al Marigold Hotel. E poi Muriel, scontrosa signora che subisce un’operazione all’anca e viene spedita in India per ‘saltare la fila’ e fare la riabilitazione e infine c’è chi, come Madge e Norman, proprio non vuole scendere a patti con il tempo che passa, che si sente ancora giovane e ha paura di invecchiare, quando la vecchiaia è ormai una realtà.

Marigold Hotel, il film

Marigold Hotel si fregia di un cast difficilmente superabile. Conduce il gruppo una bellissima Judy Dench, straordinariamente intensa e affascinante, seguita a ruota da Tom Wilkinson, Bill Nighy, Maggie Smith, insieme poi a Penelope Wilton, Celia Imrie, Ronald Pickup e il giovane Dev Patel, lo Slumdog Millionaire di Danny Boyle. John Madden ci porta in questo mondo colorato e chiassoso, glissando evidentemente sulla povertà che si trova accanto all’ostentata ricchezza e raccontandoci una storia che potenzialmente poteva essere davvero preziosa, perché va ad indagare cosa succede ai personaggi dei film dopo il film. Spieghiamoci: tutto il cinema è pervaso da gioventù e bellezza che cerca di trovare il suo posto nel mondo; il film di Madden invece racconta degli anziani che nessuno vuole e che nessuno cura, che a loro volta cercano una sistemazione per la loro nuova condizione di vecchi.

Quando le abitudini si sono sedimentate nel corso di una vita è possibile cambiarle? Quando la vita di coppia viene naturalmente interrotta dalla morte è possibile andare avanti? Quando il nostro corpo non risponde più alle intenzioni di un tempo è possibile lo stesso accettare se stessi? Ogni personaggio con la sua storia ci da una risposta, a volte semplicistica, in altri casi sofferta. Il problema di Marigold Hotel però è una sceneggiatura, basata sul racconto di Deborah Moggach, che nella parte centrale si biforca rendendo disomogenea la struttura corale del film.

La magia dell’oriente non riesce ad bucare lo schermo e il film rimane su un binario morto, nonostante gli incredibili protagonisti e la storia dalle grandi potenzialità.

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Voto
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Chiara Guida
Laureata in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza di Roma, è una gionalista e si occupa di critica cinematografica. Co-fondatrice di Cinefilos.it, lavora come direttore della testata da quando è stata fondata, nel 2010. Dal 2017, data di pubblicazione del suo primo libro, è autrice di saggi critici sul cinema, attività che coniuga al lavoro al giornale.
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