Master Gardener: recensione del film di Paul Schrader

La recensione di Master Gardener, film di Paul Schrader con Joel Edgerton protagonista, presentato fuori concorso a Venezia 79.

Master Gardener

Presentato fuori concorso a Venezia 79, Master Gardener è il terzo e probabilmente ultimo capitolo di quella che potremmo definire una trilogia sulla dicotomia tra punizione e redenzione di Paul Schrader, iniziata con First Reformed e proseguita con il più recente The Card Counter. In particolare, Master Gardener si pone come riflessione ultima dell’autore sul potere redentivo dell’amore contro l’oscurità annichilente. Un nuovo esercizio di quel cinema trascendentale di cui Schrader si è confermato pioniere e concetto sviluppato nella sua famosa tesi di dottorato, “The Transcendental Style in Film“.

 

I fiori di un giardino psicologico

Master Gardener racconta la storia di Narvel Roth, il meticoloso orticoltore di Gracewood Gardens. Si dedica tanto alla cura dei giardini di questa bellissima e storica tenuta, quanto all’assecondare la sua datrice di lavora, la ricca signora Norma Haverhill. Quando la signora Haverhill gli chiede di assumere come nuova apprendista la sua bisnipote Maya, ribelle e problematica, il caos si insinua con prorompenza nella spartana esistenza di Narvel. Nel cast, Joel Edgerton (Narvel Roth), Sigourney Weaver (Mrs. Haverhill), Quintessa Swindell (Maya), Eduardo Losan (Xavier).

Con Master Gardener siamo di fronte a un corpus filmico che non funziona sulla base della prosecuzione di una storia, ma attraverso la ripetizione e la declinazione differente di archetipi narrativi e filmici già ben consolidati da Schrader. Una messa in scena ordinata e austera, personaggi che scovano la loro tridimensionalità attraverso un cammino sofferto che passa per il potere della catarsi cinematografica e del minimalismo tecnico.

Master Gardener: l’ultimo saluto di Schrader

Laddove First Reformed e The Card Counter univano viaggi personali a temi scottanti – la crisi climatica nel primo caso, le ferite inflitte alla psiche yankee dalla lotta amorale contro il terrorismo globale – in Master Gardener questa cornice contemporanea non scompare, ma si fluidifica nello spettro visibilissimo della storia di un uomo profondamente tormentato dal passato.

Il razzismo radicato nella società america e l’esistenza di una parte dell’America che, dimenticata dal sistema, cerca rifugio nell’estremismo sono tematiche funzionali al delinearsi di un arco caratteriale estremamente controverso, che deve ricalcare le tracce del passato violento aggrappandosi a un’esistenza spartana, in cui la cura dell’Altro e l’insegnamento sono parte fondamentale di un cammino che conduce al messaggio forse più romantico che Schrader abbia mai posto su schermo.

È l’onnipresente voce fuori campo del protagonista a condurci poeticamente dentro di sè, raccontandoci come la resilienza fondante la vegetazione debba farci contemplare anche sulla nostra esistenza e, soprattutto, sopravvivenza. La storia di Narvel esiste nei confini della soggettività del suo personaggio ma si apre quanto mai alla speranza tramite l’incontro di psicologie inedite in Schrader, che si sofferma in maniera arguta su due diverse declinazioni del femminile, rappresentate da una rosa matura (Sigourney Weaver) e da un bocciolo di cui è necessario prendersi cura, nonostante le resistenze iniziali (Quintessa Swindell). Attraverso il ricongiungimento con la fisicità delle cose, la terra, la manualità, si curano non solo giardini ma anche anime. E proprio l’anima di Schrader sembra cavalcare con grandissimo affetto una sorta di seconda giovinezza, incapsulata dalla luminosità di Maya (Swindell).

Con First Reformed ci siamo chiesti se Dio, in ultima istanza, ci perdonerà; con The Card Counter siamo a passati a una riflessione ancora più intimista, se siamo in grado di perdonare noi stessi. In Master Gardener, la risposta a queste domande trova soluzione nei legami e nella speranza più pura. “Non avrei mai voluto andarmene senza fare un film che dicesse al mondo ti voglio bene“, ha dichiarato Scharader. Nel silenzio contemplativo con cui Narvel si dedica alla scrittura privata, ci apriamo alla condivisione del saluto di un immenso Maestro, che consegna a una nuova generazione di attori le chiavi per aprire i giardini della sua eredità.

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