MATA, recensione del documentario di Ingrid Fadnes e Fábio Nascimento

Un documentario estremamente attuale sulla perdita della diversità di specie, il cambiamento climatico e la lotta delle popolazioni indigene e dei piccoli agricoltori per preservare e difendere la loro terra.

Documentario Mata

Nel corso della sesta edizione del festival Cinema e Ambiente Avazzano è stato presentato il documentario MATA, che vuole incentivare la riflessione su uno degli ostacoli più imponenti che la zona di Bahia, nel sud del Brasile, deve affrontare: l’avanzata delle piantagioni di eucalipto.

 

Dietro al progetto di MATA vi sono la mente e il cuore di Ingrid Fadnes e Fábio Nascimento. La prima, giornalista, ricercatrice e traduttrice, tra il 2005 e il 2017 ha vissuto in Messico, America Centrale e Brasile, dove ha lavorato a stretto contatto con organizzazioni di contadini e popoli indigeni. Nascimento è invece un fotografo documentarista, regista e compositore brasiliano. Lavora, tra gli altri, per National Geographic, Greenpeace, MSF e The New York Times.

MATA: il nemico può anche essere verde

MATA si presenta come un documentario estremamente attuale sulla perdita di biodiversità e sulla lotta unitaria delle popolazioni indigene e dei contadini contro l’impatto della monocultura sull’ambiente, tentando di salvaguardare il territorio in cui hanno vissuto i loro antenati per centinaia di anni.

Sulla costa orientale del Brasile, nel sud di Bahia, un tempo esisteva una foresta con una diversità di specie superiore a quella dell’Amazzonia. Negli ultimi quattro decenni, il paesaggio è cambiato drasticamente: l’eucalipto cresce a vista d’occhio, fitto ed elevandosi in altezza. I contadini che lavorano nelle vicinanze e gli indigeni che hanno sempre vissuto in queste zone ne notano le conseguenze perfino sul proprio corpo. Dove sono finite le acque sotterranee? Cosa è successo al suolo? Sotto ai terreni che brulicavano di vita, ora sembra non essere rimasto più niente.

In portoghese il significato del verbo “uccidere” e del sostantivo “foresta” vengono entrambi codificati dallo stesso termine: MATA. Quello che ci vuole raccontare il documentario di Fadnes e Nascimento è proprio che una brulicante foresta di eucalipto sta uccidendo la vera, originiaria foresta: quella pluviale. Le problematiche connesse alla coltivazione dell’eucalipto ci vengono illustrate attraverso la storia di un agricoltore, Etevaldo Pereira, che cerca di battersi valorosamente contro un tipo di agricoltura dannosa su larga scala, per preservare la bellezza di un habitat ancestrale. Veniamo poi introdotti anche alla popolazione indigena dei Pataxó, vittime del business del colonialismo, di una piantagione vorticosa dietro a cui non si nasconde altro che lo scopo di lucro delle multinazionali.

La voce di un popolo

I due protagonisti del film sono i rappresentanti della lotta contro lo sfruttamento capitalistico delle risorse naturali della zona. All’età di 63 anni, il contadino Etevaldo ha finalmente ottenuto un appezzamento di terreno dove poter condurre un’attività agricola su piccola scala. Ci è riuscito grazie al Movimento dei Senza Terra, che sta combattendo una dura battaglia per la riforma agraria in Brasile. Il leader indigeno Rodrigo, del popolo Pataxó, appartiene invece a una delle tribù della zona che furono quasi spazzate via quando i portoghesi “scoprirono” il Brasile e oggi lottano per il riconoscimento delle loro aree storiche e tradizionali.

Il sensazionalismo della regia di MATA è affidata soprattutto ai droni, che vogliono sottolineare al meglio le differenze tra la foresta pluviale naturale e la foresta artificiale di eucalipti. Quest’ultima cresce sempre più in alto, fino a quando gli alberi sono abbastanza alti da essere abbattuti; la foresta pluviale, per sua natura e conformazione, cresce invece in ogni direzione possibile. Vuole abbracciare un territorio, e le sue tribù, rivendicare il proprio ecosistema, che sta pian piano venendo soppiantato da una flora e fauna complesse. La piantagione di eucalipto si diffonde come un virus, uccidendo le cellule sane e sostituendole, ondeggiando e seguendo la traiettoria di un rimpiazzo artificiale.

Naturalmente, l’eucalipto non è l’unico problema della zona di Bahia. L’agricoltura, il disboscamento e l’estrazione mineraria non sostenibili sono citati come alcune delle cause della deforestazione, aggravata ulteriormente dall’amministrazione Bolsonaro che ha indebolito l’operato dell’agenzia per l’ambiente applicando, ad esempio, nuove restrizioni alla capacità di distruggere le attrezzature pesanti trovate sulla scena dei crimini ambientali e ridotto le multe ambientali.

La foresta è anche Storia

Il cuore e nucleo tematico di MATA viene esplicitato da una sequenza in particolare: vediamo il leader dei Pataxó inginocchiarsi a terra di fronte ai rappresentanti delle multinanzionali con cui la tribù sta iniziando a negoziare. Implora che ai Pataxó sia permesso di rimanere nella loro terra, di preservarne l’eterogeneità e ricordarne la Storia.  I negoziatori, in tutta risposta, afferrano una manciata di terra e dichiarano che si tratta di un qualcosa di sacro per tutta l’umanità. Non rispondono alle grida di un popolo: si limitano a sedersi su una sedia, con le camicie bianche rimboccate, dopo aver fornito quella che secondo loro è una “valida spiegazione”.

I Pataxó stanno cercando di dirci una cosa: la conoscenza della foresta è a disposizione di tutti noi, se solo siamo disposti a vederla e ascoltarla per davvero. Non dobbiamo nemmeno cercare tutte le risposte da soli; possiamo iniziare ascoltando le storie di coloro conoscono questo spazio, lo onorano vivendoci quotidianamente, chi ha imparato a curarsi dell’altro, del verde che ci accoglie.

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