
Cosa succede se due giovani registi italiani – Fabio Guaglione e Fabio Resinaro, già autori del corto fantascientifico AfterVille, che gli era valso premi e l’approdo agli Studios americani – incontrano Peter Safran – produttore di Buried – Sepolto – e si cimentano in un thriller stile Usa, coproduzione italo-ispano-americana che fonde film di guerra, lotta per la sopravvivenza e suspense? Al centro di Mine, un soldato americano – Mike (Armie Hammer) – bloccato su una mina antiuomo nel bel mezzo del deserto e costretto ad attendere i soccorsi per più di due giorni.
Si può ottenere un film ad alta tensione, che tenga incollato lo spettatore allo schermo, dando vita a un nuovo interessante esperimento di crossover cinematografico, in cui si riconosca la matrice del genere, ma la si veda reinterpretata con quell’originalità che è cifra d’autore, accattivante e capace di fare una sostanziale differenza. Sarebbe potuto accadere, ma qualcosa manca a Mine, esordio di Fabio & Fabio (sic, questo il nome d’arte dei registi) per compiere quel passo nella giusta direzione.
Mine: Fabio Guaglione e Fabio Resinaro presentano il film
Si parte, come in Buried, dall’unità di spazio e tempo, ma i registi scelgono uno spazio aperto e puntano molto, forse troppo, sull’identificazione fra situazione esterna e interiore. Gli eventi diventano metafora della condizione psicologica del protagonista, bloccato a causa del suo vissuto, senza vedere alternative all’immobilismo, incapace di prendere decisioni importanti. Il deserto diventa luogo dell’anima. Di fatto, però, Mike è veramente in mezzo a un deserto, immobile su una mina, e appare una forzatura definire la sua immobilità una scelta. Inoltre, così facendo, gli autori sacrificano la suspense, presente solo nella prima parte, per poi concentrarsi sulle prove che Mike deve superare per sopravvivere, sui suoi incontri, tra cui quello dai risvolti comici con il Berbero (Clint Dyer), che lo aiuta e lo guida, o sull’aspetto introspettivo del personaggio.
Protagonista un
Armie Hammer che subisce più cambiamenti di
natura fisica (le labbra arse, le ferite, la pelle cotta dal sole)
di quanto non colpisca per la capacità di emozionare e coinvolgere.
La sceneggiatura ne fa quasi un supereroe: un po’ troppo, perfino
per un war movie all’americana. Nel cast anche
Annabelle Wallis (Jenny) e Tom
Cullen (Tommy). Lo stile narrativo di
Mine resta made in Usa, domina la
retorica del soldato senza macchia e senza paura, dell’eroe che
strenuamente resiste alle avversità, sottolineata da scene
drammatiche ed enfatiche. Un soldato buono, con una donna amata che
lo aspetta, che il cielo aiuta perché merita di salvarsi. Retorica
anche la riconciliazione, nella mente di Mike, in modo salvifico
quanto repentino, con alcune figure chiave della sua esistenza.
Generi e spunti diversi, alcuni dei quali interessanti, si mescolano, ma anziché dar vita a qualcosa di veramente originale, restano eterogenei e su di essi finisce per prevalere l’ingombrante modello del war/survival movie.