Mistress America: recensione del film di Noah Baumbach

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New York City non è un semplice set a cielo aperto, suggestivo, caotico e babilonico. New York è uno “stato della mente”, una condizione emotiva, generazionale, sentimentale che affligge chi ci vive e chi aspira a stabilirsi lì. Figuriamoci chi c’è nato, come Noah Baumbach, di Brooklyn, uno dei cineasti indipendenti più promettenti dell’ultimo decennio- insieme a Wes Anderson, col quale ha spesso collaborato- che cerca fin dai suoi esordi cinematografici di inserire nei propri lavori un’auto- riflessione profonda sul proprio mondo e sui personaggi che lo popolano, frugando tra i suoi ricordi.

 
 

Mistress America, il suo ultimo lavoro, è l’erede di una lunga tradizione di commedie sentimental- nevrotiche ambientate della grande mela, ispirato ai film anni ’80 sulla scia di Cercasi Susan Disperatamente o Qualcosa di Travolgente, aggiornato però in chiave 2.0 al linguaggio di Twitter, dei social, della crisi economica e del default.

Mistress America 3Alla base della pellicola c’è, soprattutto, la relazione sentimentale e creativa tra Baumbach e l’interprete del film, l’indimenticabile Greta Gerwig, capace di prestare anima, espressioni e volto ad una nuova incarnazione di donna nevrotica e tenace, ambiziosa e sognatrice, inconcludente e fragile, che ha scoperto il segreto della vita ma nemmeno lo sa: almeno, così appare agli occhi della giovane Tracy (Lola Kirke), diciottenne appena trasferitasi in città per studiare al college, la nuova quasi- sorellastra Brooke. Senza una vita- sociale e sentimentale- o un nuovo stimolo all’orizzonte, Tracy si sta lentamente lasciando schiacciare dal suo muro di incomunicabilità verso l’esterno, finché non decide di chiamare- su suggerimento della madre- la figlia del suo fidanzato, una quasi- trentenne dalla vita patinata, indaffarata, vitale e iper-attiva. Una donna che sembra avere il polso della situazione di tutto, ma che in realtà mostra tutte le fragilità di chi ancora non ha capito che piega far prendere alla propria, incerta, esistenza. Conoscersi sarà l’inizio, per entrambe, di un viaggio per capire realmente cosa vogliono e cosa stanno cercando.

L’interessante accostamento compiuto dalla Gerwig e da Baumbach con il romanzo cult di Fitzgerald Il Grande Gatsby è quanto mai opportuno: come Nick Carraway e Jay Gatsby, anche Tracy in un primissimo momento rimane affascinata da questa donna, una sorta di proiezione di cosa potrebbe diventare in fieri nella sua vita se solo riuscisse a capire davvero che strada seguire, trovando il coraggio necessario. Ma solo conoscendola in modo approfondito capisce che non tutto è come sembra, e che la vita patinata e rutilante che Brooke ha costruito intorno a sé altro non è che una bolla, un porto- franco sicuro in cui approdare per ripararsi dall’esistenza. Ognuna delle due donne aiuta l’altra ad emergere dal proprio guscio, ad elaborare il proprio dolore e le paure che nascondono, affrontando  l’esistenza e tutti gli imprevedibili cambiamenti disseminati lungo il cammino che le aspetta.

Sommario

L’interessante accostamento compiuto dalla Gerwig e da Baumbach con il romanzo cult di Fitzgerald Il Grande Gatsby è quanto mai opportuno.
Ludovica Ottaviani
Ludovica Ottaviani
Ex bambina prodigio come Shirley Temple, col tempo si è guastata con la crescita e ha perso i boccoli biondi, sostituiti dall'immancabile pixie/ bob alternativo castano rossiccio. Ventiquattro anni, di cui una decina abbondanti passati a scrivere e ad imbrattare sudate carte. Collabora felicemente con Cinefilos.it dal 2011, facendo ciò che ama di più: parlare di cinema e assistere ai buffet delle anteprime. Passa senza sosta dal cinema, al teatro, alla narrativa. Logorroica, cinica ed ironica, continuerà a fare danni, almeno finché non si ritirerà su uno sperduto atollo della Florida a pescare aragoste, bere rum e fumare sigari come Hemingway, magari in compagnia di Michael Fassbender e Jake Gyllenhaal.

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