Mon Crime, la recensione del divertente crime di François Ozon

Un film molto atteso porta finalmente in sala il suo ricco cast composto da Nadia Tereszkiewicz, Rebecca Marder, Isabelle Huppert, Fabrice Luchini, Dany Boon e André Dussollier

Mon crime - La colpevole sono io recensione

Scelto come film d’apertura della XIII edizione dei Rendez-vous del Nuovo cinema francese, la commedia poliziesca che François Ozon ha adattato – liberamente! – l’omonima pièce del 1934 di Georges Berr e Louis Verneuil arriva nei cinema italiani nel giorno della Festa della Liberazione, il 25 aprile. Una scelta, quella di Bim Distribuzione, che finalmente permette al nostro pubblico di godere dell’interessante Mon crime – La colpevole sono io, un gioco per investigatori e appassionati del genere che offre agli spettatori una sorta di ‘Invito al cinema con delitto’, per parodiare il cult di Robert Moore presentato alla 36° mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.

 

Mon crime – L’altra faccia del crimine

Un crimine che con quello del film del 1976 (scritto da Neil Simon) ha in comune sicuramente l’intenzione parodistica e satirica, oltre che la forza di un cast molto ricco, qui completato da Isabelle Huppert, Fabrice Luchini, Dany Boon e André Dussollier. Chiamati a circondare la Madeleine Verdier (Nadia Tereszkiewicz) protagonista, una avvenente giovane attrice squattrinata e senza talento che nella Parigi degli anni ’30 viene accusata dell’omicidio di un famoso produttore.

Assolta per legittima difesa, grazie all’aiuto della sua migliore amica Pauline (Rebecca Marder), giovane avvocatessa disoccupata, per Madeleine inizia una nuova vita, illuminata dalla visibilità e dalla fama ottenuta nell’aula di tribunale. Dalla quale, che a questo punto, la ragazza sembra poter costruire un futuro radioso e di successo, fino a quando la verità non viene a galla.

Un altro delitto per Ozon

Nella realtà da fumetto di Ozon (che qui sfrutta una idea altrui), la connessione tra crimine e successo sociale piuttosto che essere diseducativa si fa occasione di burla, di farsa quasi, in una sorta di sintesi tra screwball comedy e piece teatrale. Una forma che il regista si diverte a usare per mettere in scena delle dinamiche più che attuali, rappresentando l’incoerenza del potere e la volubilità dei canoni sociali, come già fatto in passato.

Intanto, di sicuro nei precedenti Otto donne e un mistero (2002) e Potiche, la bella statuina (2010) che insieme a questo – che la conclude – compongono dichiaratamente una sorta di trilogia caratterizzata da una predominante femminile. La stessa presente in altre sue opere, più cupe o tragiche, altrove esplorata celebrando amori e gettando ombre, sempre senza abbandonare uno spirito molto personale e un certo compiaciuto ed edonistico voyeurismo.

La leggerezza della quale sappiamo essere capace il regista francese, e il suo gusto per l’assurdo, insomma, riescono a impregnare la storia di un falso colpevole che lo stesso sognava da tempo e farle trascendere la realtà, nostra e dei fatti. E se l’intreccio rischia di essere più insistito e intricato del consigliabile, il ritmo impresso allo sviluppo e i dialoghi consegnati alle diverse maschere (soprattutto le due esordienti protagoniste) coinvolte difficilmente permetteranno di annoiarsi nel seguirlo.

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