Noi ce la siamo cavata: recensione del docufilm

Che fine hanno fatto i piccoli protagonisti di Io speriamo che me la cavo? In un doc con l'ultima intervista alla regista premio Oscar Lina Wertmuller, lo racconta uno di loro, Adriano Pantaleo.

Noi ce la siamo cavata recensione

A trent’anni dal grande successo di Io speriamo che me la cavo, diretto da Lina Wertmüller, Noi ce la siamo cavata, di Giuseppe Marco Albano, racconta che ne è stato dei bambini che interpretavano la classe del maestro Sperelli, Paolo Villaggio, veri protagonisti assieme a lui di quel caso cinematografico, targato 1992. Presentato in anteprima fuori concorso al 40 Torino Film Festival, il film arriva dal 5 gennaio al cinema.

 

La trama di Noi ce la siamo cavata

Il documentario nasce dalla mente del protagonista Adriano Pantaleo, assieme al regista e produttore Giuseppe Marco Albano, che poi hanno sceneggiato Noi ce la siamo cavata con Andrej Longo. È Pantaleo, che nel film di Wertmüller interpretava il piccolo Vincenzino – tra coloro che hanno proseguito nella carriera di attori, come Ciro Esposito, Raffaele – a voler rispondere alla domanda che spesso gli viene rivolta da chi lo ferma per strada: che fine hanno fatto i tuoi “compagni di classe” della terza B di Corzano? Inizia così il suo percorso, nel quale ricontatta gli ex compagni di set – Luigi L’Astorina, Totò, Carmela Pecoraro, Tommasina, Mario Bianco, Nicola, Pier Francesco Borruto, Peppiniello, Maria Esposito, Rosinella, tra gli altri – per capire che strada hanno preso le loro vite, a 30 anni di distanza da quel film.

Domanda loro e si domanda: ce la siamo cavata? Vi sono anche le voci di chi interpretava gli adulti che si muovevano attorno a questo vivacissimo gruppo di bambini. Attori del calibro di Gigio Morra, il custode, Isa Danieli, la preside, Paolo Bonacelli, Ludovico, e ovviamente, il maestro, Paolo Villaggio, che compare in alcune interviste risalenti all’epoca del film. Gli autori inseriscono anche le voci di molti tra coloro che avevano collaborato al progetto Io speriamo che me la cavo. Dallo sceneggiatore Andrej Longo, di cui si è detto, all’assistente alla regia Stefano Antonucci, dal produttore Ciro Ippolito alla responsabile del casting Mariarosaria Caracciolo, al coach di recitazione che preparò i bambini. Non solo un bilancio di esistenze a trent’anni di distanza, dunque, ma soprattutto un omaggio a Io speriamo che me la cavo, alle forze creative che lo resero possibile, prima fra tutte quella della sua vulcanica regista, Lina Wertmüller, cui il film è dedicato.

Un appassionato viaggio a ritroso

Noi ce la siamo cavata è un film sentito, perché racconta qualcosa che ha veramente cambiato le vite di tutti i piccoli protagonisti che vi hanno partecipato. Non solo di chi poi ha fatto della recitazione il suo mestiere. Adriano Pantaleo è il primo a raccontare in modo appassionato la sua storia, a sentirsi baciato dalla fortuna nell’essere stato scelto per interpretare Vincenzino. C’è in tutti i protagonisti ed è evidente, l’emozione autentica nel rivedersi bambini sul set, nel tornare in un attimo indietro nel tempo. Ci si muove sul filo della memoria e anche un po’ della nostalgia. Tuttavia, a Giuseppe Marco Albano – autore di cortometraggi apprezzati in diversi festival e del lungometraggio Una domenica notte, del 2012 – non interessa un ricordo nostalgico e fine a sé stesso. Gli interessa invece il valore di un passato capace di proiettarsi verso il futuro. Alcuni giovani protagonisti fanno anche un po’ di critica a posteriori, specie Pantaleo ed Esposito, che affermano di aver sentito su di sé, con il successo del film, la responsabilità di essere presi ad esempio dagli altri, ed evidenziano come questo li abbia fatti crescere in fretta. Tutti, però, ripeterebbero senza esitazione l’esperienza.

Omaggio a Lina Wertmüller e Paolo Villaggio

Emerge poi il ritratto di Wertmüller come la regista di grande carattere nota al suo pubblico, dal metodo rigoroso e dai modi gentili, ma schietti, che pretendeva molto anche dai piccoli interpreti e vedeva in loro quella “pulizia di cuore” che a suo parere poteva rappresentare il vero valore aggiunto del film. Paolo Villaggio appare invece desideroso di esperienze attoriali diverse, che lo portassero lontano dal personaggio di Fantozzi. Emerge la sua voglia di partecipare a un film dove poter mostrare capacità diverse e diverse sfumature del suo carattere. Noi ce la siamo cavata è senz’altro un omaggio a queste due grandi figure del nostro cinema.

Napoli ieri e oggi

Affiora, infine, il ricordo di una Napoli fuori dallo stereotipo, in cui sembrava esserci ancora una speranza, riposta, nonostante tutto, proprio nei piccoli protagonisti. Una Napoli piena di contraddizioni e criticità, ma viva e vitale, come di fatto la città è, contrapposta a quella Napoli unicamente buia e tetra, spietata e disperata, che oggi emerge spesso dagli schermi. Noi ce la siamo cavata è forse anche un invito a tornare a guardare la città con uno sguardo disincantato, sì, ma non disperato, nonostante tutto ottimista, come quello di Lina Wertmüller, conoscitrice profonda di Napoli e convinta delle sue infinite capacità di rigenerazione. La stessa speranza di rigenerazione e rinnovamento è nutrita dal regista Albano, e la nuova generazione nata da coloro che un tempo furono i piccoli protagonisti di Io speriamo che me la cavo, ne è il simbolo.

Dove e quando vedere Noi ce la siamo cavata

Noi ce la siamo cavata di Giuseppe Marco Albano è prodotto da Mediterraneo Cinematografica e Terra Nera, con il contributo della Regione Campania, in collaborazione con Lo Scrittoio e la Film Commission Campania. È al cinema dal 5 gennaio 2023.

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Scilla Santoro
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Scilla Santoro
Giornalista pubblicista e insegnate, collabora con Cinefilos.it dal 2010. E' appassionata di cinema, soprattutto italiano ed europeo. Ha scritto anche di cronaca, ambiente, sport, musica. Tra le sue altre passioni, la musica (rock e pop), la pittura e l'arte in genere.
noi-ce-la-siamo-cavataNoi ce la siamo cavata è forse anche un invito a tornare a guardare la città con uno sguardo disincantato, sì, ma non disperato, nonostante tutto ottimista, come quello di Lina Wertmüller, conoscitrice profonda di Napoli e convinta delle sue infinite capacità di rigenerazione.