Ultimo lavoro di Claudio Caligari, scomparso a maggio, dopo Amore tossico (1983) e L’odore della notte (1998), Non essere cattivo vede la luce grazie a un forte impegno collettivo, superando gli ostacoli in cui sono rimasti invece invischiati diversi progetti del regista, bloccati nelle maglie di un sistema che può lodarti, come fu per l’esordio e come pare essere oggi, ma anche lasciar languire il tuo lavoro in un limbo per anni. Prodotto dall’amico Valerio Mastandrea, il film arriva a Venezia fuori concorso; poi è scelto per rappresentare l’Italia agli Oscar.
Ne Non essere cattivo Cesare (Luca Marinelli) e Vittorio (Alessandro Borghi) sono amici da sempre. La loro vita in borgata, nella Ostia del 1995, è fatta di droga, piccoli furti e raggiri assieme a una banda di degni compari, di soldi che non bastano mai, specie a Cesare, che vive con la madre e la nipotina malata di Aids. Quando Vittorio, stanco, esce dal giro e trova lavoro come manovale, i due si allontanano per poi ritrovarsi, come accadrà più volte. Vittorio cercherà di portare anche Cesare nella sua nuova vita, mentre rischierà costantemente di essere risucchiato di nuovo dal giro e dalle sue logiche. Al di là delle scelte di vita, a unire Cesare e Vittorio resta il legame profondo e indissolubile di un’amicizia fraterna.
Caligari torna a
raccontare i tossici della Ostia post
Pasolini già descritti nel suo primo lavoro, con
taglio meno neorealista e attori professionisti. Li immagina circa
dieci anni dopo, nel ’95. Ne nasce una narrazione sentita,
appassionata di quel mondo cupo e disperante, che inaspettatamente
si accende di umanità, di sentimenti autentici, di affetti. Ed ecco
il senso del titolo: “non essere cattivo”, è scritto sulla
maglietta del peluche che lo zio Cesare regala alla piccola Debora.
È in questa coesistenza di opposti la forza del film, il motore
dell’emozione. È la scoperta delle fragilità, ma anche
dell’incoscienza, di certa incauta spensieratezza dei protagonisti,
a sorprendere e a rendere conto di un universo complesso.
La sceneggiatura riscatta qualche passaggio troppo frettoloso con soluzioni creative efficaci e dialoghi ben scritti, punteggiati d’ironia e momenti perfino comici in un orizzonte complessivamente drammatico, come nello stile del regista.
Buona prova corale del cast, Luca Marinelli e Alessandro Borghi danno vita ai protagonisti, con un’ottima interpretazione il primo, che conferma talento e duttilità, mostrandosi capace di “cambiare pelle” ad ogni ruolo – qui quasi irriconoscibile, emaciato, fa suoi i panni di Cesare, muovendosi sicuro tra i vari registri che il personaggio gli consente di esplorare. Mentre il secondo sfrutta a pieno la sua abilità nell’interpretare stati allucinati e comincia ad andare oltre, ma attendiamo ancora una sua prova del tutto convincente.