Riccardo Camilli è un regista quarantaquattrenne al suo ottavo film indipendente. Peggio per me è in tutto e per tutto una sua creatura: ne è anche soggettista, sceneggiatore, montatore, interprete e produttore – il film infatti è quasi totalmente autofinanziato. Con questo lavoro il regista vuole guadagnarsi quell’occasione che finora gli è mancata.
Francesco (Riccardo Camilli) è un quarantenne in crisi. Nel giro di un anno si è separato dalla moglie (Tania Angelosanto), è dovuto tornare a vivere con la madre (Alessandra Ferro), la figlia dodicenne lo considera un immaturo privo di coraggio. Eppure da bambino era allegro, pieno di creatività e fantasia, come dimostrano certe vecchie audiocassette, datate 1986, in cui si divertiva a fare il dj con il suo migliore amico Carlo (Claudio Camilli), ora sprofondato nella depressione. Quando perde anche il lavoro come insegnante di sostegno, Francesco pensa di farla finita, ma viene bloccato proprio da una voce a lui familiare che arriva dal lontano ’86.
Il film è una commedia amara, ma non priva di speranza, tra reale e surreale. Il protagonista ha la tenerezza impacciata e l’insicurezza cronica di alcuni personaggi del primo Verdone, mentre nell’estremizzazione di alcune situazioni, pur senza tagliente sarcasmo, si sentono echi del primo Moretti di Io sono un autarchico ed Ecce bombo. Soprattutto, il regista condivide con entrambi gli autori la capacità di raccontare, anche attraverso le ansie, le insicurezze, le fragilità, una generazione profondamente diversa da quella dei padri (e delle madri), che cerca qui come cercava allora, più o meno faticosamente, la propria strada.
Il lavoro rispecchia
infatti meglio di tante commedie recenti, l’essenza della
generazione dei quarantenni di oggi, oppressa da un passato troppo
presente, ancora legata a doppio filo a genitori incapaci di
fiducia, e con un futuro che sembra non arrivare mai, mentre di
fatto il tempo scorre. Mostra tutto ciò con amara ironia e
tenerezza, ma senza vittimismo, piuttosto mettendo al centro il
riscatto, la possibilità per il protagonista di mettersi finalmente
in prima persona e realizzarsi. Questa possibilità è innescata
dall’elemento surreale e fanciullesco ben inserito nel contesto del
film. Attraverso la voce di Francesco bambino passa l’invito al
Francesco adulto a non lasciarsi sprofondare in una grigia
insoddisfacente routine, ma a provare fino in fondo a realizzare i
propri sogni di un tempo, o almeno ad esserne degno. Non fantasie
infantili da eterno Peter Pan, ma desideri concreti da far
diventare realtà con tenacia e perseveranza, nonostante le
difficoltà. Non bisogna mai smettere di provare a diventare quello
che si vuole essere. È questa, in fondo, l’essenza del film e anche
dell’esperienza di Camilli regista. È così che va inteso il
riferimento agli anni ’80, ben ricostruiti nei flashback e inseriti
in un insieme coeso, non per un revival nostalgico, ma come
propulsori per il presente e verso il futuro.
Quella di Camilli è una poetica del quotidiano, che si nutre di situazioni comuni e si costruisce attraverso dialoghi spontanei, ma senza banalità. Completa il tutto un cast di attori validi ancora poco noti – a parte Angelo Orlando in un cameo. Ne scaturisce un lavoro di gruppo fatto con autentica passione, che fonde comico e drammatico, reale, iperreale e fantastico in un racconto godibile, divertente e ricco di spunti di riflessione. Peggio per me è da cercare in sala non solo per quei cinefili che amano il sapore genuino dell’artigianalità, ma anche per chi apprezza un cinema del senso e dell’urgenza espressiva e non lo vuole relegato in una nicchia.
Peggio per me
Sommario
Quella di Camilli è una poetica del quotidiano, che si nutre di situazioni comuni e si costruisce attraverso dialoghi spontanei, ma senza banalità. Completa il tutto un cast di attori validi ancora poco noti.