Riccardo Camilli presenta la sua nuova commedia, Peggio per me

peggio per me

Montatore, autore di corti e web serie, veterano del cinema indipendente e low budget, Riccardo Camilli presenta alla stampa il suo ottavo lungometraggio da regista e protagonista, Peggio per me. Autoprodotta ed in parte finanziata col crowdfunding, la commedia arriva al cinema grazie a Distribuzione Indipendente e sarà nelle sale dal 12 luglio.

 

Giovanni Costantino di Distribuzione Indipendente spiega così la scelta di portare nelle sale il film: “In questi ultimi anni la sensazione è quella di vedere molte commedie nate per l’incasso, prive di quell’urgenza autoriale ormai così difficile da trovare. In Camilli invece, c’è il rispetto dell’urgenza autoriale nella sua essenza. […] Lo abbiamo scelto per questo e per la sua purezza e onestà. È stata per noi una gioia vedere un’opera fresca, capace di spaziare dal comico al drammatico”.

Quasi totalmente autofinanziato, questo film è la dimostrazione che, se hai la forza di metterli in campo, i sogni si possono realizzare, anche senza avere qualcuno dietro le spalle.

Riccardo Camilli: “Penso che sia anche una questione di sopravvivenza. Facendo da tanti anni questo lavoro indipendente, ho provato a percorrere altre strade. Tra il 2009 e il 2013 ci sono state almeno tre occasioni con grandi produzioni, con tre film diversi, che si erano quasi concretizzate […], ma è mancata la distribuzione. […] Prima provavo a passare qualche mese a bussare alle porte, perdendo tempo, anche se due su tre produttori ci hanno provato veramente […]. Certamente c’è passione e c’è costanza, ma non puoi farne a meno. Da quando inizi a scrivere un film, diventa la tua dannazione giorno e notte. Te ne devi anche un po’ fregare di chi non crede che tu possa arrivare a concretizzare qualcosa. Devi sempre credere, convincerti che le cose, alla fine, le devi fare, concentrarti su te stesso, pensare solo a fare meglio rispetto ai tuoi film precedenti, e non alle occasioni che hanno avuto gli altri, magari persone che conosci, con cui hai lavorato […]. Altrimenti è finita”.

Claudio Camilli, è difficile lavorare con il proprio fratello in una situazione gerarchicamente definita?

Claudio Camilli: “La nostra è una strada talmente spianata che mi risulta abbastanza facile. Lui ha iniziato nei primi anni ’90, quando ero un ragazzino. Io sono rimasto subito affascinato dal voler fare l’attore e stare in questo ambiente. Abbiamo sempre lavorato insieme, mi ha sempre coinvolto nelle sue cose. Ormai capisco al volo quello che vuole da me”.

Come è entrato nel film?

Camilli: “Il mio inserimento nel film è stato prepotente. Inizialmente Riccardo mi aveva proposto di interpretare uno dei suoi alunni, invece io gli ho proposto di farmi fare il suo amico depresso. […] Ero in un periodo un po’ particolare, di paturnie personali, quindi non mi è stato difficile entrare nel ruolo. Il pile di mia madre ha fatto il resto”.

Come ha scelto gli attori?

C. “In un film indipendente non si tende a fare tanti provini, ma devo dire che mi è andata sempre meglio nei miei film. […] Vado molto a fisionomia, non credo negli attori che possono trasformarsi in tutto […]. Mi deve piacere la postura, la voce.[…] In questo caso sono tutti come li volevo io, ed è stata una fortuna”.

Come avete lavorato ai vostri personaggi, adattandovi a un racconto molto maschile?

Tania Angelosanto: “Le donne di Riccardo Camilli – è la seconda volta che lavoro con lui e che interpreto sua moglie – sono le donne che incontriamo quotidianamente: nevrotiche, arrabbiate, furiose, innamorate, gelose. Siamo noi, tutte le sfaccettature femminili. Amo molto Riccardo per questa sua capacità di descrivere il femminile. Non tutti gli uomini sanno raccontare le donne”.

Alessandra Ferro: “Riccardo è un regista sui generis, non dà indicazioni precise, ma leggendo il copione sono entrata immediatamente nel personaggio [la madre del protagonista ndr.]. […] Dalla scrittura si capiva benissimo com’era, perciò è stato facilissimo”.

Nel film c’è il riferimento al passato. Perché ha scelto proprio gli anni ’80?

Camilli: “Io sono un pazzoide degli anni ’80, anche ’70, un figlio del rock e del pop. Volevo raccontare un ragazzino di undici, dodici anni, un’età che io avevo negli anni ’80. Trent’anni perfetti separavano il dodicenne dal quarantaduenne. Non ho fatto uno sforzo per farlo. È coinciso col gioco presente – passato che volevo sfruttare, che era quello degli anni ’80, perché cinematograficamente risultano sempre colorati, allegri, spensierati per un bambino”.

Ha cercato di “tornare bambino” per raccontare questa vicenda?

Camilli: “Io mi ritengo un bambinone, non abbandono mai quello sguardo, quindi non ho fatto nessuno sforzo per recuperarlo. Mi piace lavorare coi ragazzini, forse ho un desiderio di paternità […] latente, di volere raccontare come sarei da padre […]. Il film va visto anche con un approccio fanciullesco, è in qualche modo una favola moderna. […] Era un po’ un rischio avere dialoghi così veri, situazioni così “normali” e infilarci quasi a forza un elemento fantastico. Invece, riguardando il film, non mi sembra stoni affatto. Anzi, tutto il lavoro nasce proprio da lì, dalla scena in cui compare per la prima volta l’elemento fantastico, che ho sognato tale e quale”.

Quali sono i suoi riferimenti cinematografici?

C.: “Sono nato con Francesco Nuti, Massimo Troisi e il primo Verdone. Quelli sono, soprattutto, i miei riferimenti.

Peggio per me è in anteprima nazionale a Riccione per Ciné – Giornate estive di cinema 2018 il 5 luglio e in sala dal 12 luglio.

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