Arriva alla Festa del Cinema di Roma Posso entrare? An Ode to Naples di Trudie Styler, regista che, insieme a suo marito Sting, si dice da sempre innamorata dell’Italia. Il film è allora un viaggio bulimico che vuole tenere insieme le mille anime di Napoli in un unico racconto, con il mare sullo sfondo e la fotografia di Dante Spinotti a creare magie. Arriva in punta di piedi Styler, bussa alla porta e chiede: posso entrare? Dall’altra parte trova la calorosa accoglienza napoletana e una voglia di raccontarsi, nel bene e nel male, che non si esaurisce mai, tra orgoglio, resilienza e pragmatismo, per usare le parole della regista inglese, nata poco lontano dalla Stratford – upon – Avon di Shakespeare.
Una densa passeggiata a Napoli con Trudie Styler
Raccontare in poche righe quanto è contenuto nel documentario Posso entrare? An Ode to Naples è impresa ardua. Si può però senz’altro dire che c’è musica, e come avrebbe potuto essere altrimenti? Si parte da Clementino, che apre il film con un rap sulla storia di Napoli, fino ad arrivare all’orchestra dei ragazzi di Sanitansamble. Ci sono l’impegno civile alla Sanità, cuore pulsante di Napoli, e non solo lì, di Don Antonio Loffredo e i progetti cui dà vita nelle sue parrocchie: box, teatro e quant’altro, per sottrarre i giovani alla criminalità. Intervengono Roberto Saviano e Alessandra Clemente. Il primo, da quindici anni sotto scorta, parla del suo rapporto conflittuale con Napoli. La seconda racconta come sia riuscita a trasformare la rabbia per la morte della madre – uccisa da una pallottola vagante durante una sparatoria, quando lei era una bambina – in carburante per cercare di cambiare in meglio la sua città.
Ci sono casalinghe, artigiani, bottegai e ambulanti, che conservano saperi su mestieri antichi e li portano avanti – Michelle, alias Michelina la guantaia, l’acquafrescaio Poppò, Immacolatina e Gennaro, il tipografo Carmine Cervone. Ma vi è anche lo scultore Lello Esposito che con le sue opere porta Napoli nel mondo. Tradizione e devozione: San Gennaro, Pulcinella, il presepe e il Vesuvio, immancabile in un racconto di Napoli. Maradona e la street art di Jorit, la Napoli sotterranea e il racconto storico: il ricordo del fascismo, della guerra e dell’insurrezione popolare delle 4 giornate, attraverso il materiale dell’Istituto Luce. Un caleidoscopio condensato in 107 densissimi minuti.
Troppo materiale senza una direzione precisa
Il problema di Posso entrare? An Ode to Naples è che c’è troppo. È una miscellanea di tutto ciò che è Napoli. Styler non vuole lasciar fuori niente, ma la scelta di non dare un taglio preciso è disorientante e dispersiva. Manca un focus. Così, lo spettatore a volte si perde. Si fa fatica a seguire il discorso per immagini e parole. Il racconto diventa quasi, per usare una metafora letteraria, un flusso di coscienza, in cui si salta da un elemento a un altro senza apparente coerenza logica, ma seguendo un istinto. In questo suo essere caotico, il lavoro intende forse rispecchiare l’essenza di Napoli, fatta di molteplici anime, piena di contrasti, che sembra contenere tutto e il suo contrario.
Tuttavia, il film soffre la mancanza di una direzione. Anche nello stile Posso entrare? An Ode to Naples è una miscellanea: video musicale, documentario con materiale di repertorio, tratto dall’archivio dell’Istituto Luce, interviste a personaggi contemporanei, noti e non. Apprezzabile però, che cerchi di stare lontano dai luoghi comuni. Spesso vi riesce, guardando a ciò che è simbolico, iconico, in modo diverso e obliquo.
Uno sguardo romantico in Posso entrare? An Ode to Naples
È evidente in Posso entrare? An ode to Naples la passione e il trasporto dello straniero, affascinato dal caleidoscopio frastornante che è Napoli. Questo elemento ci introduce al lato romantico del lavoro. Styler, da inglese, sembra guardare a Napoli con gli stessi occhi dei poeti e degli intellettuali romantici che qui facevano il Grand Tour. Sono citati espressamente – ad esempio, Shelley, con la sua Ode to Naples – e richiamati nel titolo stesso del film. Dal punto di vista visivo, poi, la fotografia di Dante Spinotti contribuisce a creare atmosfere calde e sognanti, con tramonti che sembrano quadri di Turner, senza peraltro dimenticare la chiassosa Napoli dei vicoli e quella grigia delle periferie. Vi è qualche momento particolarmente intenso. Ognuno potrà trovare ciò che farà vibrare maggiormente le sue corde. Uno di questi, però, è sicuramente quello che vede protagonista Sting. Senza spoiler, possiamo dire che qui Styler vince facile, e lo sa.
Le contraddizioni e la resilienza di Napoli
Fortunatamente, la regista vede anche le contraddizioni della città alle pendici del Vesuvio e non le mette da parte. Il disincanto coesiste con la fascinazione. Styler sceglie di mostrare soprattutto chi resiste, chi non soccombe ai problemi e alle sfide che una città complessa come Napoli pone ogni giorno. Racconta il sublime e la criminalità, ma punta su chi si dà da fare per renderla un posto migliore. Sono ad esempio i ragazzi del NEST, progetto teatrale nato in uno stabile abbandonato, da un idea di Francesco Di Leva; o i detenuti che in un laboratorio recuperano il legno delle navi dei migranti per farne strumenti musicali. Simboli di una resilienza e di una voglia di riscatto che hanno sempre fatto di Napoli una città brulicante di vita e, nonostante tutto, di speranza.