Prince Avalanche: recensione del film con Emile Hirsch

In Prince Avalanche Due operai si trovano soli e isolati a dipingere linee stradali lungo una foresta texana appena devastata da un incendio. Alvin il più maturo dei due, è un uomo che tiene uno stile di vita preciso e rigoroso, ama la solitudine e il silenzio, ma soprattutto ama Madison, sorella di Lance, il compagno di lavoro, ragazzo assai più svogliato a cui interessa solo divertirsi durante i weekend. Tra i due inizialmente l’alchimia non è al massimo, ma una serie di vicende (e un simpatico vecchietto) evolveranno il loro rapporto in una sincera amicizia.

 

Dopo due film di rara bruttezza (Sua Maestà e Lo Spaventapassere) David Gordon Green decide di tornare a uno stile più contenuto e drammatico con questo Prince Avalanche. Il regista ci parla di solitudine, disperazione e rinascita attraverso le bellezze naturali e le ceneri della foreste texana.

Il misto tra questi due elementi è il culmine della rappresentazione simbolica che Gordon Green vuole mostrare; con i  fiori divisi a metà tra petali rigogliosi e steli bruciati fino agli animali, primaria forma di vita della natura incontaminata, che si trovano mezzi bruciacchiati ma ugualmente vivi. Ed è questo che sono anche i due protagonisti, scottati dalla vita, ma ugualmente capaci di reagire (faticosamente) a quello che accade nelle loro esistenze.

Tra i due Emile Hirsch è colui che meglio interpreta il ruolo tragicomico (mettendoci anche la componente fisica oltre a quella mimica) della situazione e rende ogni battuta degna di un sorriso, più fiacco Paul Rudd che non sembra avere il carisma adatto a trasportare questo genere di film e sono i momenti in cui è solo in scena ad essere la parte più debole del lungometraggio.

Il tutto è raccontato da una colonna sonora fiabesca di David Wingo e da una regia che riesce ad accompagnare lo spettatore delicatamente nelle emozioni dei protagonisti e soprattutto non si fa mai né invasiva né protagonista, e le sequenze nelle case bruciate ne sono la prova.

La sceneggiatura, scritta dallo stesso Gordon Green, è frutto di un adattamento del film islandese originale (Either Way)  e caratterizza bene i personaggi, ma non ha il mordente adatto a rendere il film memorabile  e risulta la parte più debole dell’intero lavoro. Prince Avalanche  riesce a soddisfare (e talvolta emozionare) ogni tipo di spettatore e a riscattare gli ultimi fallimenti del regista americano.

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