Dopo Bones and All del 2022, che valse a Taylor Russell il premio Marcello Mastroianni per la migliore promessa, Luca Guadagnino torna in Concorso alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia, lo fa con un ambizioso adattamento dal romanzo Queer, il secondo di William Burroughs, un racconto denso eppure immobile in cui il protagonista è interpretato da Daniel Craig.
La storia di Queer
È il 1950. William Lee è un americano sulla soglia dei cinquanta espatriato a Città del Messico. Passa le sue giornate quasi del tutto da solo, se si escludono le poche relazioni con gli altri membri della piccola comunità americana, beve e fuma e cerca compagnia. L’incontro con Eugene Allerton, un giovane studente appena arrivato in città, gli mostra per la prima volta la possibilità di stabilire finalmente una connessione intima con qualcuno, ma Eugene non sembra essere della stessa opinione e si rivela un compagno sfuggente e riluttante.
“How can a man who sees and feels be other than sad?” Nelle note di regia a Queer, Luca Guadagnino riporta le ultime parole che William Burroughs ha appuntato sul suo diario personale. E sembra davvero che quella sensazione (come può un uomo che vede e sente non essere triste?) sia parte fondamentale del Lee di Daniel Craig, che nel suo peregrinare alla ricerca del piacere sia costantemente triste anche quando trova un giovane che sembra ricambiare il suo amore. La sua natura lo spingerà verso una ricerca esperienziale della vita, che si discosta sempre più dall’edonismo e che nella giungla profonda lo conduce a riconnettersi con se stesso (sarà l’occasione per smettere di assumere droghe pesanti) e in qualche modo lo proietta verso un futuro di serena tristezza, rassegnazione certo ma forse finalmente tranquillità.
“Io non sono queer, sono disincarnato”
Come ci ha abituati da sempre, Luca Guadagnino conferisce al film una grazia e una bellezza distintive, che immergono i personaggi in dipinti in cui non solo luce e colori ma anche odori, texture, profumi di alcolici e fumo si fondono a quelli dei corpi che si cercano. E per quanto il corpo sia centrale nell’esperienza del protagonista, diventa un confine prescindibile che Lee cerca costantemente di aggirare, arrivando a dire “Io non sono queer, sono disincarnato”. Guadagnino elabora visivamente questo stato d’animo trascinando l’immagine e facendo sdoppiare e compenetrare i suoi protagonisti. Accanto all’ottimo Craig, c’è Drew Starkey, bello e distante, che ruba il cuore di Lee il quale vorrebbe legarlo a sè.
La ricerca del desiderio da parte di Lee diventa ricerca di se stessi in un racconto fiume che si divincola dalle coordinate temporale e diventa un adattamento convincente del romanzo. Nel suo raccontare per il cinema una storia profondamente letteraria, Guadagnino da una parte compie un piccolo miracolo, dall’altra sembra distrarsi un po’ da quello che è il centro del racconto cinematografico, cosa che lo rende in fin dei conti non troppo a fuoco e forse un passo indietro rispetto all’intenso Bones and All e al divertente Challengers.
Queer
Sommario
Guadagnino da una parte compie un piccolo miracolo, dall’altra sembra distrarsi un po’ da quello che è il centro del racconto cinematografico, cosa che lo rende in fin dei conti non troppo a fuoco e forse un passo indietro rispetto all’intenso Bones and All e al divertente Challengers.