Ritual Una storia psicomagica recensione

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Lia e Viktor hanno un legame perverso: masochista lei, sadico lui; una più fragile, l’altro in apparenza più forte, in realtà reciprocamente dipendenti. Lia è in cura da uno psicologo per cercare di mettere ordine nella sua personalità. Quando rimane incinta e Viktor la costringe ad abortire, lei tenta il suicidio. Poi, per cercare di riprendersi, abbandona l’uomo e va a stare in campagna dalla zia Agata, una guaritrice dedita alla psicomagia. È proprio grazie a questa pratica che Agata spera di far superare a Lia il trauma della perdita del bambino, anche se i suoi disturbi sembrano aggravarsi ed è chiaro che la cosa non sarà semplice.

 

Ritual – Una storia psicomagica 2Per il loro esordio alla regia Giulia Brazzale e Luca Immesi scelgono il thriller psicologico: partendo dal testo La Danza della Realtà di Alejandro Jodorowsky – non solo grande regista, ma padre della psicomagia – confezionano Ritual Una storia psicomagica, un film visivamente molto curato: scenografie metafisiche, geometrie, atmosfere algide e contrasto bianco-nero nella prima parte, la natura e i suoi colori nella seconda. Un gusto marcato per l’inquadratura, uno sguardo estetizzante, che non ha paura di mostrarsi artistico, e anche “artefatto”. Il tutto dimostra talento registico e uno stile personale da apprezzare, anche se non sempre adatto, soprattutto quando c’è da rendere l’immediatezza delle situazioni (oltre che a rischio di autocompiacimento). Molto curato anche l’aspetto sonoro, che contribuisce a creare atmosfere oscure e ammalianti al tempo stesso – spiccano i contributi di Moby e Patrizia Laquidara, qui anche attrice.

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Ciò che non funziona come dovrebbe è una trama che non riesce a coinvolgere davvero, né a sorprende o lasciare col fiato sospeso, a creare vera suspense, come un thriller dovrebbe fare. Così, il promettente potenziale viene parzialmente sciupato, nonostante i protagonisti Lia (Désirée Giorgetti) e Viktor (Ivan Franek) siano in parte.

Colpa delle lacune nelle due storie principali? O della fusione un po’ azzardata tra psicomagia e folclore popolare veneto? O ancora dell’approccio psicomagico stesso che rivela i suoi limiti? O della non scelta tra psicologia e psicomagia? Nella prima parte, infatti, c’è una descrizione da manuale, fors’anche troppo, di narcisismo, sadomasochismo, perversione, feticismo (con tutto il repertorio “classico” di scarpe, pelle nera, lingerie, cinte, collana-collare), c’è la figura dello psicologo; poi ci si allontana dalla psicologia in favore della psicomagia, ma con un conflitto irrisolto tra le due che permane in tutto il film (l’una è scienza, mentre l’altra avvalora l’atto magico).

Senza dubbio, le menti più razionali saranno perplesse, mentre potrà essere incuriosito chi ama l’antropologia e il folclore. Lo spettatore resta però distante dalle vere emozioni.

Scilla Santoro
Scilla Santoro
Giornalista pubblicista e insegnate, collabora con Cinefilos.it dal 2010. E' appassionata di cinema, soprattutto italiano ed europeo. Ha scritto anche di cronaca, ambiente, sport, musica. Tra le sue altre passioni c'è proprio la musica (rock e pop), assieme alla pittura e all'arte in genere.

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