Jurek è un bambino di otto anni che,
fuggito dal ghetto di Varsavia, cerca in ogni modo di sopravvivere
nascondendosi nella foresta lavorando come bracciante e fingendosi
di essere un orfano polacco. In questa odissea incontrerà persone
che lo inganneranno e lo picchieranno e altre disposte a rischiare
tutto pur di aiutarlo.
Il Premio Oscar Pepe Danquart, porta nella sezione Alice nella città, del Festival Internazionale del Film di Roma, una storia vera tratto dal best seller di Uri Orlev che racconta la propria esperienza delle vicissitudini dell’olocausto e della seconda guerra mondiale in Polonia. L’originalità della sceneggiatura adattata da Henirch Hadding e lo stesso Urli Olev è di testimoniare uno dei genocidi più cruenti della storia sotto un nuovo punto di vista, che non rappresenta quello dei campi di concentramento o dell’ascesa del nazismo, ma è ambientata nella verde e lussureggiante Foresta di Białowieża, luogo incontaminato in cui numerosi ragazzi e partigiani trovavano rifugio dall’esercito nazista che cercava ebrei di casa in casa per deportarli in Russia. In questo scenario crudo e violento il piccolo Jurek impara a sopravvivere grazie al coraggio, una forte identità e soprattutto un incredibile speranza nell’uomo.
Danquart ci racconta di
questa foresta come un luogo selvaggio ma familiare, puro e
incontaminato, che rispecchia l’indole del piccolo Jurek, che si
basa su semplici regole che forgiano nel bambino una gran nobiltà
d’animo lasciando un piacevole ricordo per chiunque lo incontra e
conosce la sua triste storia. Questa viene seguita con gran perizia
dalle soggettive alle panoramiche, che ci restituiscono l’ottica
del fanciullo, inorridito e divertito dalle caratteristiche del
mondo che lo sta forgiando. Le emozioni dello spettatore vengono
dosate con perizia dal montaggio di Richard Marizy che
riesce tramite flashback, ripetizioni ed ellissi ad enfatizzare le
sensazioni per lo spettatore risaltando così la bravura dei due
gemelli Andrezej e Kamil Tkcaz. Entrambi
recitano alternandosi tra una scena e l’altra, e riescono a
fornire a pieno tutti i sentimenti che Jurek vive, ingenuo sulle
questioni legate all’uomo e ai suoi meccanismi contorti d’amore e
d’odio, e coraggioso nei momenti più disperati. Questi sottolineate
dalle musiche di Stephan Moucha, delicate e dai molteplici
registri che riescono a risaltare la caratteristica predominante di
Jurek, una carismatica solarità che commuove e fa sorridere lo
spettatore.
Run Boy Run, a differenza di film più recenti quali Il bambino con il pigiama a righe, riesce a dare voce a una storia eroica, che commuove e fa sorridere, che racconta di un viaggio o meglio una corsa verso l’affermazione della propria identità. Una crescita avvenuta tra veloci incontri e bruschi abbandoni di chi lo ha amato per quello che era e odiato per ciò che rappresentava.