Showing Up, recensione del film con Michelle Williams

Showing Up recensione

Dopo una serie di lungometraggi di fattura notevole Kelly Reichardt ha raggiunto un livello di maturità artistica sinceramente ammirevole. Si tratta di uno dei pochissimi cineasti indipendenti americani in grado di mettere in scena la verità e la sensibilità dei propri personaggi con pochi, finissimi tratti. Una regista in grado di padroneggiare con tale parsimonia e insieme efficacia la cura dei dettagli merita un sincero e sentito applauso.

 

Showing Up, l’attesa prima di un’esposizione

Prendiamo ad esempio le pennellate di vita quotidiana che definiscono la protagonista del suo ultimo Showing Up, una scultrice alle prese con gli ultimi, convulsi giorni prima di un’esposizione. La vita interiore di Lizzy (Michelle Williams), lo stato emotivo e sentimentale in cui si trova quando la incontriamo, perfettamente esplicitati dal modo in cui veste, dalla sua acconciatura, dal fatto che indossa quasi ossessivamente le stesse comode scarpe aperte con calzini, poco importa quali abiti abbia deciso di indossare.

Eppure nel film di Reichardt tale cura dei dettagli non diventa mai ostentazione, in nessun caso infatti la messa in scena si erge sopra storia, atmosfere o figure tratteggiate. Anche la sceneggiatura, scritta insieme al fido romanziere John Raymond, scandisce il tono di Showing Up con una semplicità che sa davvero di vita vissuta: nonostante Lizzy si trovi ad affrontare praticamente da sola una serie di ostacoli e problemi proprio nei giorni che precedono la sua mostra, le piccole avventure di una vita normalissima – un piccione che deve essere accudito dopo che il suo gatto lo ha quasi ucciso, una madre asfissiante separata da un padre donnaiolo, un fratello artista incompreso al limite dell’esaurimento nervoso – non diventano mai un mezzo per alterare il tono del racconto, intriso di una gentilezza del tocco che sa del fluire pacato do una vita anonima eppure pregnante.

Kelly Reichardt si è riversata in Lizzy

Kelly Reichardt, almeno nel suo rapporto con i media, non è una persona di facilissima gestazione. La sua gentilezza intrinseca si sposa con una riservatezza evidente, su cui si poggia la sua idea molto forte di cosa sia essere un’artista. Chiunque abbia avuto il piacere di conoscerla oppure semplicemente osservarla dal vivo non può non notare quando abbia messo di se stessa in Lizzy, riflettendo attraverso il suo lavoro e la sua dedizione sul valore dell’arte in generale. La protagonista di Showing Up non è un’artista di fama internazionale, per pagare l’affitto abbordabile della casa che la sua amica Jo (Hong Chau) le ha messo a disposizione lavora come grafica per sua madre, non ha una vita sociale e sentimentale che possa veramente definirsi appagante. Eppure non c’è un singolo momento del film in cui lo spettatore compatisce questo personaggio, prova pena per lei.

La dignità, l’abnegazione e l’amore con cui Lizzy continua imperterrita e sincera a scolpire sono il vero premio dell’essere un’artista, e lo stesso possiamo dire della filmografia preziosa di Kelly Reichardt. Se oltre a questo suo ultimo lungometraggio prendiamo anche il precedente, forse anche migliore First Cow e altri titoli di enorme impatto quali Meek’s Cutoff o Certain Women, comprendiamo perfettamente quale sia il valore di una cineasta a suo modo dura e pura, coerente e incorruttibile.

Showing Up michelle williams

Michelle Williams è un’attrice talmente conscia delle sue doti drammatiche che tende troppo spesso a volerle “mostrare”, caricando eccessivamente i propri personaggi. Il suo precedente The Fabelmans di Steven Spielberg, per cui ha ottenuto la sua quinta candidatura all’Oscar, ne è prova evidente. Quando recita per Kelly Reichardt invece riesce a trovare un equilibrio, un modo di entrare nel personaggio in modo genuino e sommesso, che testimonia in particolar modo la capacità encomiabile della regista nel saperla centellinare. In Showing Up la prova della Williams si fa infatti raffinata, sincera, ottimamente divisa tra il lato leggero della donna e l’esposizione della frustrazione quotidiana che deve affrontare.

A questo punto siamo ormai quasi sicuri che il cinema di Kelly Reichardt non verrà mai abbracciato dal grande pubblico, probabilmente neppure da una larga porzione di quegli spettatori che rappresentano la fascia “media”. Poco importa, a noi basta che continui a fare film capaci di parlare al cuore di coloro che li vanno a vedere. E se continueremo a essere in (troppo) pochi, vorrà dire che custodiremo in maniera gelosa i preziosi regali cinematografici che ci ha regalato negli anni. Lei, come la sua Lizzy, sembra voler creare arte soprattutto per se stessa. E forse proprio per questo riesce a parlarci con grazia superiore.

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Adriano Ercolani
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