Slender Man, recensione dell’horror di Sylvain White

Slender Man

In uscita il 6 settembre, Slender Man non è certo il primo tentativo di portare il mitologico personaggio su grande (e piccolo) schermo.

 

Dopo una serie di corti, film indipendenti, documentari e due videogiochi di grande successo, anche Hollywood ha ceduto al fascino della creepypasta più famosa del web.

Per i non addetti ai lavori, una “creepypasta” è una leggenda metropolitana nata e sviluppatasi nel web, attraverso le menti degli utenti e la trasmissione orale. Nello specifico il personaggio di Slender Man (letteralmente “Uomo Esile”) fu ideato da Victor Surge (alias Erik Knudsen) durante un concorso fotografico online per il sito Something Awful, dove si incoraggiavano gli utenti a modificare talune fotografie immettendovi, con photoshop, dei particolari macabri.

La figura di questo inquietante personaggio altissimo, magro e senza volto che si accinge a rapire dei bambini innocenti, vinse il primo premio del contest e si diffuse in un baleno in tutto internet, incontrando un grande successo di pubblico.

Nella speranza di cavalcarne l’onda favorevole, Sony e Screen Gems ne hanno tratto un lungometraggio horror di stampo molto classico, e se vogliamo piuttosto démodé. Sì perché Slender Man– diretto dal regista televisivo Sylvain White – si caratterizza anzitutto per avere un’impostazione ormai vetusta. La struttura della trama guarda più agli horror anni ’90 che a quelli contemporanei. Il cinema dell’orrore attuale è stato decisamente rivoluzionato, a favore di nuove soluzioni stilistiche e visive. Basti pensare ai recentissimi capolavori come A Quiet Place, Hereditary e Get Out. Per non parlare dell’intero microcosmo del terrore creato da James Wan.

Invertendo questa positiva rotta, Slender Man sceglie la soluzione più banale, e mette in atto un film con quattro adolescenti (tutte neo promesse di Hollywood) che, presa visione di un filmato maledetto online, ne divengono ossessionate e quindi perseguitate (in quanto ignare, si vede, della stranota saga di The Ring). Se si escludono un paio di soluzioni stilistiche niente affatto banali (si veda il finale, nello specifico), la storia manca di cuore e originalità.

Il pubblico non gradisce (in America il film è già uscito da circa un mese) e la noia, dovuta al vuoto pneumatico di idee, è palpabile più della nebbia che avvolge le apparizioni dello Slenderman.

Peccato. Perché l’idea di partenza consentiva lo sviluppo di sottotrame molto interessanti, a partire dal fatto – nel film appena accennato – che il personaggio dell’incantatore e rapitore di bambini esiste fin da tempi lontani. Dal Großmann della mitologia tedesca fino al Pifferaio di Hamelin, il materiale da cui attingere non era poco.

Invece Slender Man di Sylvain White sceglie di concentrarsi sulle vicende delle quattro liceali e i relativi sconvolgimenti psicologici, ricordando troppo da vicino le pericolose ossessioni collettive come la ormai famosa Blue Whale Challenge, che hanno portato alla morte diversi ragazzi di tutto il mondo.

Forse per questo motivo, la produzione Sony e la Screen Gems si sono sentite in dovere di moderare la promozione e le pubblicità inerenti al film, memori delle azioni giudiziarie ancora in corso contro la creepypasta in questione. Nel solo 2014, negli Stati Uniti, sono avvenuti diversi casi di aggressioni e tentato omicidio nei quali gli adolescenti coinvolti erano ossessionati dal personaggio mitologico di Slenderman.

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RASSEGNA PANORAMICA
Giulia Anastasi
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