Smetto quando voglio, opera prima del giovanissimo Sydney Sibilia (classe 1981), è una commedia riuscita, non tanto perché giocare cogli stereotipi della crisi di questi tempi fa ridere ormai di per sé, tanto sia arrivata a livelli paradossali; ma perché aggiunge a questa dose di ironia anche un’azzeccata fisicità e caratterizzazione dei personaggi, dal dialogo fine a se stesso, ai toni della coralità complessiva.

 

In nome della “banda” che viene a formarsi, c’è anteposta la professionalità di ciascun individuo, quasi come riconoscenza verso se stessi. Come a dire, lavoriamo per qualcosa che non ci saremmo mai aspettati, ma senza dimenticare cosa siamo e da dove veniamo. È questo il suo punto di forza maggiore, l’alimento in più che la rende non una banda qualunque, ma La Banda.

Smetto quando voglio: il film

In Smetto quando voglio Pietro (Edoardo Leo) è laureato in neurobiologia. Fa il ricercatore, ma il suo contratto non viene rinnovato. Decide allora, unendo le forze insieme a molti altri laureati disoccupati in campi diversi (Paolo Calabresi, Libero De Rienzo, Stefano Fresi, Lorenzo Lavia, Valerio Aprea, Pietro Sermonti), di mettere a punto una formula chimica per produrre una nuova droga da vendere nelle discoteche. E c’è di più: è legale, perché la sostanza in questione non figura in quelle proibite dalla legge italiana. Faranno palate di soldi, con la convinzione di poter smettere quando vogliono.

Dal film Smetto quando voglio ne esce distrutta: una categoria di giovanissimi, che a quanto pare non sa stare senza droghe; una categoria di giovani laureati, ricercatori senza un futuro stabile che devono gioco-forza reinventarsi; ed una appena accennata categoria di “vecchi”, silente ma padrona. C’è spazio anche per far quadrare i conti con il personaggio più stabile (almeno nell’animo) della storia, Giulia, ragazza di Pietro interpretata da Valeria Solarino. Lavorando in un centro di recupero per tossicodipendenti, aggiunge quel tocco di moralità in più, una questione “etica” che deve contro-bilanciare il lavoro “sporco” che compie la banda. Anche perché loro i principi morali li hanno persi da qualche anno. Ah si, è precaria anche lei.

Si ride parecchio e non è una risata sterile, ma dettata dai canoni dell’attualità. Qualcuno ci vedrà l’ombra di Breaking Bad, almeno nell’idea di base; qualcun altro strizzate d’occhio alle complesse formule di The Big Bang Theory; altri ancora “la banda” alla Romanzo Criminale. C’è un po’ di tutto, in una estremizzazione della realtà che fa già ridere di per sé, ma che acquista punti in più perché viene espressa con le facce giuste. Il retrogusto è amaro, ma non sprofonda mai o quantomeno è filtrato dentro alla necessità che fa virtù.

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