Stereo Girls: recensione del film di Caroline Deruas Peano – SIC – Venezia 82

Il film è stato presentato nella selezione ufficiale del fuori concorso della 40ª Settimana della Critica.

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Presentato fuori concorso alla 40ª Settimana della Critica, nell’ambito della 82ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Stereo Girls segna l’esordio alla regia di lungometraggio di Caroline Deruas Peano. Un debutto che, pur con alcune ingenuità, si distingue per sensibilità visiva e coerenza poetica, rafforzato da una fotografia che è già uno dei suoi marchi distintivi.

Il film, ambientato negli anni Novanta nel sud della Francia, segue la storia di due inseparabili amiche diciassettenni, legate da una passione viscerale per la musica e da un ardente desiderio di libertà. L’atmosfera che si respira è quella di un’epoca di transizione, segnata dall’energia del rock e dell’alternative, ma anche dal fascino di un immaginario ancora profondamente analogico: registratori, cassette, vinili e notti lunghe passate a sognare un futuro diverso. È in questo contesto che la regista costruisce un racconto di formazione sospeso tra nostalgia e urgenza, destinato a infrangersi bruscamente contro la tragedia che separerà le due ragazze, lasciandone una sola a portare avanti i sogni di entrambe.

Stereo Girls non punta sull’originalità ma sulla autenticità emotiva

La trama di Stereo Girls non punta a sorprendere per originalità, ma per autenticità emotiva. Deruas Peano sceglie una narrazione intima, quasi diaristica, che restituisce con delicatezza i turbamenti dell’adolescenza femminile. A rendere l’esperienza davvero memorabile è però il lavoro di Vincent Biron alla fotografia: la sua sensibilità visiva esalta l’aspetto “analogico” del film, immergendo lo spettatore in un universo fatto di toni caldi, luci soffuse e texture materiche. Ogni inquadratura sembra evocare la grana delle fotografie sviluppate in camera oscura, restituendo la sensazione di un tempo in cui le immagini non erano istantanee digitali, ma ricordi tangibili.

Questa estetica non è solo un vezzo stilistico, ma diventa parte integrante della narrazione: l’amicizia tra le due protagoniste si imprime nello sguardo dello spettatore proprio come una pellicola impressionata dalla luce, destinata a durare oltre la vita stessa. È qui che la scelta di Biron si rivela decisiva: la fotografia trasforma la storia in una sorta di reliquia visiva, dove il passato non è mai davvero perduto ma continua a risuonare, come un brano inciso su nastro.

Un cast intenso e naturale

Il cast contribuisce in modo sostanziale a dare credibilità al racconto. Emmanuelle Béart, icona del cinema francese, porta con sé un’aura di eleganza e malinconia che si innesta perfettamente nell’atmosfera crepuscolare del film. Accanto a lei, Lena Garrel – figlia della regista – offre un’interpretazione sorprendente per intensità e naturalezza, incarnando una giovinezza inquieta, piena di speranze ma anche di fragilità. L’alchimia tra le due giovani protagoniste regge gran parte della narrazione: la loro amicizia appare palpabile, fatta di piccoli gesti, di complicità silenziose e di improvvise esplosioni di vitalità.

Dal punto di vista della regia, Caroline Deruas Peano si dimostra capace di dare voce a un universo femminile spesso sottorappresentato sul grande schermo. Non c’è compiacimento nel raccontare l’adolescenza, ma un sincero desiderio di coglierne i chiaroscuri: la ribellione e la dolcezza, la spensieratezza e il dolore, la promessa di un futuro e la consapevolezza che ogni sogno comporta un rischio. La regista opta per un ritmo dilatato, fatto di pause e silenzi, che permette allo spettatore di entrare davvero nello spazio emotivo delle protagoniste.

Stereo Girls è un film che convince soprattutto per la sua capacità di evocare un’epoca e uno stato d’animo. Più che un racconto lineare, è un’esperienza sensoriale che si nutre di immagini e suoni, di luci e di ombre. La fotografia di Vincent Biron rimane impressa come la vera protagonista, capace di trasformare la memoria personale in memoria collettiva. Caroline Deruas Peano firma così un’opera prima delicata, che parla della fragilità e della forza dell’amicizia femminile, e che ci ricorda come anche il dolore della perdita possa contenere in sé una promessa di continuità: quella dei sogni che, una volta condivisi, non muoiono mai del tutto.

Un debutto promettente, che lascia intravedere una voce autoriale da seguire con attenzione.

Stereo Girls
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Sommario

Un debutto promettente, che lascia intravedere una voce autoriale da seguire con attenzione.

Chiara Guida
Chiara Guida
Laureata in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza di Roma, è una gionalista e si occupa di critica cinematografica. Co-fondatrice di Cinefilos.it, lavora come direttore della testata da quando è stata fondata, nel 2010. Dal 2017, data di pubblicazione del suo primo libro, è autrice di saggi critici sul cinema, attività che coniuga al lavoro al giornale.

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