The Canyons, recensione: sesso, potere e disillusione nel ritorno mancato di Paul Schrader – Venezia 70

Abbiamo visto The Canyons di Paul Schrader con Lindsay Lohan: un thriller erotico ambientato nella Los Angeles del vuoto e del desiderio, affascinante nelle intenzioni ma debole nei risultati.

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Arriva al Lido di Venezia The Canyons, film fuori concorso diretto da Paul Schrader e scritto da Bret Easton Ellis, autore di American Psycho e Less Than Zero. Nel cast troviamo Lindsay Lohan, qui al ritorno dopo un lungo periodo di riabilitazione e scandali, e James Deen, star del cinema pornografico chiamata a misurarsi con un ruolo drammatico. L’opera, girata in digitale con budget ridotto, si propone come un thriller erotico contemporaneo, immerso nella Los Angeles del sesso, del potere e dell’ossessione per l’immagine — ma l’ambizione si traduce presto in un esperimento fragile e poco incisivo.

Tra eros e alienazione: la Los Angeles di Schrader e Ellis

The Canyons racconta la storia di cinque giovani di circa vent’anni che si muovono nel ventre lucido e corrotto di Hollywood. C’è Christian (James Deen), giovane produttore cinematografico ossessionato dal controllo e dal voyeurismo, che ama filmare i suoi rapporti sessuali; Tara (Lindsay Lohan), la fidanzata che alterna sottomissione e ribellione; Ryan (Nolan Gerard Funk) e Gina (Amanda Brooks), due attori coinvolti in una produzione horror dello stesso Christian; e infine Lindsay, ex attrice diventata insegnante di yoga, simbolo di una spiritualità posticcia che tenta di redimere un mondo già condannato.

Il film si muove tra amore, sesso e violenza, ma il vero cuore della narrazione è l’apatia.
Schrader e Ellis raccontano una generazione di individui alienati, incapaci di provare emozioni autentiche e immersi in una cultura dove tutto – il corpo, l’arte, il desiderio – è merce. La Los Angeles di The Canyons non è più quella patinata dei sogni hollywoodiani, ma un deserto emotivo popolato da personaggi che vivono solo attraverso lo schermo del telefono o la lente di una videocamera.

L’idea di fondo è affascinante, e ben si inserisce nella filmografia di Schrader, da sempre interessato al peccato, alla colpa e alla redenzione (American Gigolo, Hardcore, Taxi Driver, di cui fu sceneggiatore). Tuttavia, in questo caso, l’intento non trova piena realizzazione: il film appare più come un esercizio concettuale che come una riflessione compiuta sul presente.

Un’estetica digitale per un cinema senza emozioni

Girato interamente in digitale con mezzi limitati, The Canyons adotta uno stile visivo volutamente freddo e impersonale. Le inquadrature statiche e la fotografia sbiadita costruiscono un senso di distacco coerente con il vuoto interiore dei protagonisti, ma la scelta stilistica finisce per diventare un limite. La regia di Schrader, solitamente capace di tensione e rigore, qui sembra rinunciare alla profondità psicologica per assecondare una sceneggiatura dispersiva.

La scrittura di Ellis, autore di culto capace di scandagliare la vacuità della società americana, si traduce in un copione che replica se stesso: dialoghi affilati ma ripetitivi, figure femminili trattate con ambiguità e un erotismo più meccanico che disturbante. L’insieme evoca atmosfere da noir postmoderno, ma senza mai trovare la forza di un autentico sguardo critico.

Lindsay Lohan tra fragilità e provocazione

A salvare parzialmente The Canyons è la presenza magnetica di Lindsay Lohan, il cui volto segnato e la vulnerabilità naturale si fondono con il personaggio di Tara. È una performance che mescola fragilità e consapevolezza, quasi metacinematografica: Lohan interpreta se stessa, un simbolo decaduto della giovinezza hollywoodiana, vittima e carnefice di un sistema che consuma e dimentica. James Deen, invece, appare spaesato, e il suo Christian resta prigioniero della caricatura del maschio dominante.

Quella che poteva essere una riflessione spietata sul narcisismo digitale diventa così una pellicola disomogenea, più interessante per il contesto produttivo e le sue premesse che per il risultato finale. Schrader tenta di costruire un thriller erotico sulla fine del desiderio, ma il film rimane intrappolato nel suo stesso cinismo.

Conclusione

The Canyons è un esperimento mancato, un’opera che cerca di essere attuale ma finisce per sembrare fuori tempo. Nonostante il fascino del progetto e qualche intuizione registica, il film manca di forza narrativa e di coesione emotiva. Paul Schrader, da autore di culto, firma uno dei suoi lavori meno riusciti: un noir digitale senza tensione, dove la carne e il peccato non bruciano più.

The Canyons

Sommario

Un esperimento interessante ma fallito: The Canyons tenta di indagare il vuoto della generazione digitale, ma resta prigioniero della sua stessa freddezza.

Francesco Madeo
Francesco Madeo
Laureato in Scienze Umanistiche-Cinema e in Organizzazione e Marketing della Comunicazione d'Impresa è l'ideatore di Cinefilos.it assieme a Chiara Guida e Domenico Madeo.

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