The Fabelmans, recensione del film di Steven Spielberg

L'attesissimo film che racconta l'infanzia del regista icona di Hollywood arriverà nelle sale italiane a dicembre.

The Fabelmans recensione

Trai film più attesi della stagione, spicca senza ombra di dubbio The Fabelmans, nuovo film di Steven Spielberg. Attraverso la lente della finzione cinematografica alcuni importanti autori hanno saputo raccontare se stessi, non soltanto la propria visione del mondo ma anche la storia personale che li ha in qualche modo condotti ad essa. Con il suo ultimo The Fabelmans, Spielberg ci regala un film che riduce tale lente a uno strato sottilissimo, mettendo in scena gli anni della sua giovinezza e gli eventi che lo hanno condotto all’amore per la Settima Arte.

 

The Fabelmans, fare i conti con la propria storia

Lo scopo principale appare senza dubbio quello di fare i conti con i fatti che hanno minato l’unità familiare nella sua adolescenza, indirizzandolo verso il cinema come momento di evasione dal dolore del quotidiano ma anche come mezzo per esprimere quel dolore stesso, incanalandolo in una storia capace di parlare al grande pubblico. E Steven Spielberg, ovvero uno dei più grandi narratori per immagini dei nostri tempi – se non il più grande – con The Fabelmans fa ancora una volta proprio questo: sviluppa una storia di crescita e accettazione che rimane comunque finzione, ovvero quella finzione quella che lui stesso avrebbe voluto vivere.

Madre e Padre

Anche se in superficie il personaggio portante della trama è Mitzi, la madre del giovane protagonista Sam, nel profondo The Fabelmans è un atto d’amore verso la figura paterna di Burt, una figura che nel cinema si Spielberg è stata costantemente motivo di frustrazione: pensate ad esempio ai padri assenti, manipolatori, distratti di film come E.T., Prova a prendermi o Incontri ravvicinati del terzo tipo, solo per citare gli esempi maggiormente espliciti. In questo ultimo lungometraggio autobiografico (a modo suo…) Spielberg invece celebra la resilienza, l’abnegazione, la devozione incondizionata di un uomo destinato ad amare una donna a cui sta troppo stretta la vita che lui può offrirle. Sotto questo punto di vista The Fabelmans si conferma, alla maniera di molti film del primo Spielberg, una favola che reinterpreta la realtà. O meglio l’espressione di un desiderio preciso, quello di aver avuto la possibilità di capire meglio i propri genitori.

In certi momenti sembra quasi che il cineasta voglia spiegarci perché negli anni ‘70 e ‘80 faceva film in quel modo, e questo introduce un certo didascalismo nella narrazione e nell’estetica scelta per The Fabelmans. Al tempo stesso però troviamo nel film sequenze che parlano di cinema in maniera talmente precisa e profonda da colpire dritte al cuore: Spielberg ci mostra ad esempio con straordinaria semplicità ed efficacia che fare cinema ha significato per lui tentare di prendere il controllo della propria vita, oppure che si possono usare le immagini quando le parole diventano troppo pesanti o dolorose per poter essere pronunciate.

Spielberg strizza l’occhio a John Hughes

Questi sono i momenti più belli di The Fabelmans, opera che possiede anche momenti di incredibile e insieme dolorosa leggerezza, alla maniera di quel John Hughes a cui Spielberg strizza più volte l’occhio in questo lungometraggio. E a chiudere un’operazione tanto complessa e stratificata proprio perché estremamente personale, ci sono gli ultimi dieci minuti che sono qualcosa che è difficile definire, tante sono le emozioni che racchiude: una sequenza cinefila, spassosa, geniale anche nella scelta di un cameo straordinariamente assurdo eppure perfetto che ovviamente non vi spoileriamo. 

Per quanto riguarda la direzione degli attori, Spielberg si conferma perfetto regista di giovani interpreti consentendo al protagonista Gabriel LaBelle di regalarci una prova maiuscola, trattenuta e sofferta nella prima parte e poi progressivamente più libera e carismatica quando invece il personaggio di Sam inizia a trovare la forza per lottare al fine di affermare la propria personalità. Straordinaria – da nomination all’Oscar – la partecipazione del grande veterano Judd Hirsch in una sola ma fondamentale sequenza. Funzionano a dovere Paul Dano e Seth Rogen, mentre invece si sviluppa a corrente alternata la prova di Michelle Williams, la quale a tratti sembra incerta sul come interpretare una figura femminile la cui frustrazione emotiva conduce ad atteggiamenti eccessivamente melodrammatici. 

Riscrivere la propria infanzia con il cinema

The Fabelmans è un film forse un po’ troppo alterno nei toni e nell’esposizione della storia per convincere del tutto: nei momenti in cui funziona è di una potenza emotiva profonda, in altri al contrario fa pensare a quanto altri giovani protagonisti nel cinema di Steven Spielberg si sono rivelati maggiormente emblematici di Sam Fabelman. A conti fatti, il senso di solitudine e di innocenza perduta derivati dall’aver perso il sostegno del nucleo familiare hanno trovato piena rappresentazione in altri film dell’autore – su tutti a nostro avviso si staglia il giovane Christian Bale de L’impero del sole – ma a conti fatti probabilmente non è neppure questo lo scopo di The Fabelmans.

Spielberg sembra volerci dire che, alla soglia dei 76 anni, con quello che gli è accaduto, lui ci ha finalmente fatto i conti. Alla sua maniera, ovvero adoperando il cinema come “fabula”, come possibilità di riscrivere la propria storia interiore. E sotto questo punto di vista il suo film è prezioso. 

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