The Housemaid: recensione del film di Im Sang-soo

The Housemaid

In The Housemaid Eun-yi è una giovane che viene assunta per fare da cameriera e bambinaia nella lussuosa casa di una coppia ricchissima. Quando il padrone le richiederà anche altri servigi, lei accetta, rimanendo però incinta, e così all’interno della casa si alterano gli equilibri e le donne della famiglia faranno di tutto per difendere la loro posizione dall’intrusa.

 

La cinematografia coreana è avvezza a storie di vendetta, tuttavia, nel caso del film di Im Sang-soo (remake di un omonimo classico coreano diretto nel 1960 da Kim Ki-young) la vendetta è solo una conseguenza di una storia forse più diluita, o almeno ‘allungata’, che conduce lo spettatore al suo esito inevitabile e tragico. The Housemaid seguendo gli stilemi cari al cinema orientale, procede per inquadrature fisse o comunque con movimenti molto lenti, a volte prediligendo lo sbilanciamento del piano dello sguardo a favore dell’indagine dello spazio.

Proprio questa dimensione è fondamentale e principalmente occupata dalla grande e lussuosa villa dei ricchi protagonisti: marmo e vetro, a simulare una gigante cappella funeraria, all’interno della quale tutto sembra svolgersi nel più classico dei modi. The Housemaid che mantiene quindi questa forma impeccabile che sfocia nel manierismo, si affida soprattutto alla recitazione di attori davvero bravi, su tutti l’anziana domestica interpretata da Yoon Yeo-jeong, che con sguardi e gesti avvolge lo spettatore e conosce ogni cosa che avviene sotto il tetto di quella gabbia dorata. Oltre ai toni drammatici, sottaciuti sotto una apparente perfezione dei corpi che si muovono nello spazio, il film si rivela un thriller che parte dalle dinamiche di dominio tra padrone e lavoratore e sfocia poi nella violenta ed efferata ‘conservazione della specie’ ad opera delle bellissime e malefiche donne di casa, che si vedono minacciate dalla sprovveduta protagonista interpretata da Jeon Do-youn.

Nella prima parte di The Housemaid si cogli un vago tentativo, da parte del regista, di provare a destabilizzare, inquietare lo spettatore che tuttavia, di fronte all’ultima scena, che dovrebbe forse essere quella maggiormente d’effetto, resta più che altro perplesso e forse confuso dalla volontà di dire troppe cose, nel corso di un film che, se fosse durato anche 20 minuti di meno, non avrebbe tolto nulla alla storia. Soprattutto considerando che il tentativo di realizzare un approfondito ritratto psicologico di questa persona comune in una situazione straordinaria non ha nessun effetto se non quello di annoiare.

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