The Killing of a Sacred Deer: recensione del film con Colin Farrell

The Killing of a Sacred Deer

Affrontare un’operazione a cuore aperto non è mai facile per un paziente, anche dall’altro lato della barricata però non è certo uno scherzo. Anestesista e chirurgo dividono parte delle responsabilità totali, la percentuale più grande però è dominata dal caos, dal fato o dal destino, come chiamarlo si voglia. Yorgos Lanthimos per spiegare questo concetto decide di operare egli stesso a cuore aperto, e di scrivere un’opera dai tratti tanto folli quanto geniali chiamata simbolicamente The Killing of a Sacred Deer – l’assassinio del cervo sacro. Steven Murphy è un chirurgo di successo con una bellissima moglie e due figli, vive una vita apparentemente perfetta, nel suo passato però c’è un’operazione andata male, un paziente perso e un senso di colpa che non accenna a svanire. Quest’ultimo aspetto lo ha spinto a creare un particolare feeling con Martin, ragazzo adolescente figlio della vittima, con cui si vede spesso, a cui fa regali costosi, a cui bada come un padre adottivo – nei ritagli del suo tempo.

 

The Killing of a Sacred Deer, il film

In The Killing of a Sacred Deer il loro rapporto però diventa presto strano e ambiguo, il ragazzo richiede sempre più attenzioni, diventa sempre più un’ossessione, quando Steven decide di staccarsi però è troppo tardi e i piani macabri del ragazzo sono già avviati. Il suo obiettivo è far provare al chirurgo lo stesso dolore, lo stesso vuoto che ha sentito lui perdendo il padre, vuole che almeno un membro della famiglia Murphy muoia. Quello che può sembrare lineare e diretto, in realtà sullo schermo è completamente onirico e surreale. Il giovane Martin si muove come un’entità sovrannaturale, capace di controllare i corpi altrui a piacimento. elementi che fanno letteralmente impazzire Steven e con lui gli spettatori – che osservano tutto dallo stesso punto di vista. Non c’è un solo istante di The Killing of a Sacred Deer che passa senza la giusta tensione, un racconto serrato che non lascia respiro e genera dubbi, paure e incertezze – sentimenti e sensazioni amplificati da una colonna sonora dai toni bassi e oscuri e una fotografia impeccabile, cupa e claustrofobica. Il regista greco, che in Italia abbiamo conosciuto soprattutto grazie a The Lobster, ha ulteriormente perfezionato la sua già ottima tecnica e la forma, creando un’opera maestosa dal punto di vista visivo. Sul fronte dei temi invece la questione è più complessa, si discute di vendetta, di senso di colpa, ma soprattutto ci spiega per filo e per segno il funzionamento del caos.

Spesso, in quanto uomini che si credono onnipotenti, investiamo tutte le nostre forze per cambiare il corso di uno o più eventi, invece è il fato che gestisce la partita, sempre e comunque. In The Killing of a Sacred Deer, gli strumenti del mestiere nelle mani dell’autore non sono ovviamente i ferri chirurgici, bensì degli attori di talento che fanno in modo eccezionale il loro lavoro. Colin Farrell nei panni del protagonista è riuscito a raccogliere una tale intensità come non faceva da tempo, al suo fianco una Nicole Kidman passionale e carnale, di una bellezza senza tempo. Buona parte del lavoro però è svolta dai piccoli membri del cast, che recitano come adulti maturi e pienamente formati. Le immagini che passano su schermo non sono certo per chi ha lo stomaco debole, e lo si capisce sin dal torace aperto con un cuore battente a vista in apertura, neppure per chi soffre di attacchi di ansia e claustrofobia, tutti gli altri invece hanno la possibilità di godere di un’esperienza emozionante e visivamente sublime. 100 minuti in balia del caos e della follia umana, indimenticabili.

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