Guerriera, dea, prima di tutto icona: Wonder Woman arriva finalmente al cinema, dopo 75 anni di racconti a fumetti e una serie tv negli anni ’70 con Lynda Carter. Il film diretto da Patty Jenkins, prima donna a dirigere un cinecomic, arriva in sala in Italia dall’1 giugno (negli USA a partire dal 2) e racconta la prima storia di supereroi con protagonista una donna nell’era “moderna” del genere (c’erano state Elektra e Catwoman, facilmente dimenticabili).
La storia di Diana
La storia, che vede protagonista Gal Gadot, è chiaramente un racconto di origini che per molti versi diventa quasi un coming of age. La giovane Diana, cresciuta nella pura e incontaminata Temiscira, entra nel mondo degli uomini e delle sue complessità, diventa una donna e capisce qual è il suo posto in quel mondo che tanto vuole proteggere. Nel viaggio è accompagnata da Steve Trevor (Chris Pine), che la guida come può in mezzo alla guerra, inconsapevole del potere della sua compagna di avventura.
Da aspirante guerriera e paladina della giustizia, Diana diventa una donna, consapevole della sua missione e di se stessa soprattutto, e così si trasforma in Wonder Woman. Lo fa nel percorso lineare, elementare diremmo, che segue il racconto della Jenkins il quale, da un inizio che fatica a ingranare, prevalentemente ambientato sull’isola delle Amazzoni, si snoda con un ritmo più fluido e incalzante nel finale.
Come ogni racconto di origine, il villain di turno è abbozzato, più una figura di riferimento che serve a fare da cartina di tornasole per l’eroe che un personaggio a tutto tondo. Wonder Woman non sfugge a questa dinamica, ma allo stesso tempo ci regala qualche personaggio di contorno valido, anche se relegato a riempitivo, rispetto a Diana e a Steve stesso, che sono il vero centro dell’azione.
Lo zampino di Snyder
Una storia di una donna, raccontata da una donna, dunque, un unicum per adesso nel genere, che però risente visibilmente dell’apporto creativo di Zack Snyder la cui eco si avverte nelle sequenze di battaglia in cui abbonda (troppo) il rallenty. L’effetto non manca di fascino ma l’espediente reiterato nel tempo perde la sua valenza narrativa/emotiva e allenta la tensione. Alla mancanza di nerbo nel racconto, si aggiunge una debolezza di scrittura che è il tallone d’Achille (a proposito di divinità greche) dei film DCEU.
A sorpresa, il libero arbitrio diventa il punto di arrivo di un percorso paradossalmente umano che compie l’amazzone nel suo cammino per scoprirsi dea, un percorso non certo complesso o articolato, ingenuo certamente, snocciolato attraverso tutti i passaggi chiave fondativi del genere.
Anche visivamente Wonder Woman scivola in diversi punti, conferendo al reparto fotografico una confezione che potrebbe addirittura sembrare frettolosa o approssimativa se non fossimo di fronte a un prodotto ad alto budget.
Tuttavia, nonostante la narrazione elementare, la regia non troppo personale (o personalizzata) e la costruzione lacunosa della CGI, Wonder Woman conserva un spirito autentico e un respiro epico che caratterizzava anche Batman v Superman Dawn of Justice e che è completamente assente dai prodotti dei “cugini” di casa Marvel. Inoltre il film si avvale di una protagonista che al di là dell’effettivo merito artistico riesce a incarnare bellezza, forza, grazie, carisma, diventando la colonna portante del film.
La nascita di Wonder Woman
L’impressione è che lo spettatore si trovi al cospetto di un eroe, una creatura sovrumana, un personaggio che plausibilmente è capace di salvare il mondo e che, nonostante queste sue qualità ultraterrene, entra in contatto intimo con l’umanità. Diana non è quindi solo dea o guerriera, è anche donna che conosce l’amore e la compassione, che riesce a seguire il suo destino, abbracciando una missione che le viene rivelata lungo la strada. In questo modo si trasforma un Wonder Woman.
Nell’economia del Universo Cinematografico DC, il film di Patty Jenkins si rivela un progetto coeso e organico, in cui purtroppo manca la complessità (seppure espressa confusamente) che avevamo ammirato in Batman v Superman, ma in cui per fortuna non c’è il caos strutturale rintracciato in Suicide Squad. Simile a L’Uomo d’Acciaio per un’inevitabile assonanza di racconto, Wonder Woman è un punto di partenza importante per la rappresentazione femminile nel genere. La strada da fare è ancora tanta, ma i propositi e gli esiti sono incoraggianti.