Le Client: recensione del film di Asghar Farhadi

Le Client Recensione film

Siamo su uno stage teatrale. Un’intera casa di scena si sorregge su un’impalcatura fragile, vi è una camera da letto, una sala da pranzo, una seconda camera da letto al piano superiore, appartenente probabilmente ai vicini del piano sottostante. Diversi sono però gli stili, più vecchio l’appartamento più grande, leggermente più moderno quello più piccolo, un quadro che potrebbe somigliare tanto all’Iran contemporaneo, almeno alla sua politica. Un Paese che cerca di rinascere, di ripartire, ma su delle fondamenta traballanti, esattamente come l’appartamento – vero questa volta, non su un palcoscenico – di Emad e Rana, i due protagonisti di Le Client.

 

Oltre alla vita condividono la passione per il teatro e la contentezza per una nuova casa, dentro la quale hanno traslocato da poco, non hanno neppure finito di svuotare tutte le scatole. Contentezza però destinata a durare molto poco, perché una notte tutto viene evacuato, gli scavi per un nuovo immobile adiacente stanno indebolendo tutto il loro palazzo, non è più sicuro vivere lì. È subito disperazione, insicurezza, bisogno estremo di aiuto, è così che un collega attore offre loro un nuovo riparo temporaneo. Per i due vi è un nuovo trasloco all’orizzonte, nuove mura da trasformare in casa, ma il destino sembra essersi incaponito contro di loro. Il nuovo alloggio ha infatti un passato oscuro, una vecchia inquilina dai facili costumi, i cui clienti cercano ancora senza sosta.

Le client 2

Qualcosa dunque succede di nuovo, quando uno di questi trova l’innocente Rana al posto della prostituta sperata, e la vita cambia di nuovo. Per Rana tutto diventa sofferente, le piccole azioni quotidiane si trasformano in incubo, anche andare nello stesso bagno in cui è stata aggredita è un’azione troppo difficile da sopportare; per Emad è lo stesso inferno, ma da un punto di vista diverso, quello di chi si sente impotente, di chi non sa come reagire e ha un solo chiodo fisso, trovare e punire il colpevole. Perché in Iran è così che funziona, la polizia serve a poco, tutto si regola in modo artigianale, ogni torto richiede una vendetta privata. Al di là delle implementazioni politiche, di un Iran giovane ancora oggi violentato, schernito, umiliato dall’anziano regime, Asghar Farhadi tratteggia con Le Client un thriller sofferto, scritto divinamente, dal carattere magnetico.

Appena da spettatori si entra all’interno del meccanismo generale della rivalsa, dell’indagine, della cura, l’empatia con i personaggi si fa assoluta, ma non tutto è prevedibile. Le linee di sceneggiatura creano infatti almeno due grandi fazioni ed è assolutamente soggettivo parteggiare per una o per l’altra alla fine della rappresentazione. Chi si sente dalla parte di Emad, sente crescere per tutto il film un senso di rabbia, di violenza, di rivalsa, chi è più vicino alla sensibilità di Rana è invece più propenso a perdonare, a restaurare una situazione già drammatica di suo, senza renderla ancor più dolorosa. L’unica certezza è che la ritorsione, il regolamento di conti, è un automatismo animalesco, un procedimento che annega nella colpa anche chi è sempre stato dalla parte della ragione, generando nuovi colpevoli. Per rinascere davvero e andare incontro alla redenzione, sia a livello umano che politico, tocca guardare oltre, diventare esseri umani e porgere l’altra guancia. Anche se questa è già martoriata.

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