Hates – House at the End of the Street: recensione del film con Jennifer Lawrence

In Hates – House at the End of the Street dopo il divorzio dei genitori, la giovane Elissasi si trasferisce assieme alla madre in una casa ai margini di un bosco. Strane storie circolano su quel luogo, tra cui un terribile fatto di sangue avvenuto proprio nella casa vicina, dove una giovane ragazza mentalmente disturbata uccise entrambi i genitori, per poi sparire nel nulla. Elissa non sembra preoccuparsi troppo, fino a quando non fa la conoscenza di Ray, fratello dell’assassina e unico superstite della tragedia familiare. La ragazza finisce per innamorasi di questo timido giovane, ma ben presto gli oscuri segreti del passato riemergeranno più inquietanti che mai.

 

Il terreno torbido ed oscuro del cinema thriller è impervio e alquanto precario, così come testimoniano i prodotti di genere negli ultimi anni, e il rischio più insidioso è quello di cadere nei clichè e negli stereotipi che tanto ormai hanno esasperato il pubblico, desideroso di freschezza. Purtroppo però, forse a causa di un’eccessiva sicurezza nelle proprie capacità, il regista Mark Tonderai, qui alla sua seconda opera dopo l’esordio di Hush, confeziona uno psycho-thriller che vuole essere un velato tributo al vecchio zio Hitchcock ma che finisce per dimostrarsi l’ennesima opera di cine-spavento adolescenziale, priva di novità significative. Malgrado il poderoso lavoro di pianificazione, durato più di due anni, e la presenza di uno sceneggiatore di gran fama come Jonathan Mostow (Il Mondo dei replicanti), Hates – House at the End of the Street è un classico film di spavento gratuito, in cui le svolte narrative appaiono piatte e prevedibili, al pari di personaggi appena abbozzati e senza alcun approfondimento psicologico.

Affidandosi ad una regia del tutto anonima, Tonderai tesse una storia dove ci si rammarica di un’eccessiva leggerezza nella scelta delle soluzioni narrative, peraltro ampiamente stereotipate e in perfetta linea con le ormai (purtroppo) usuali tecniche infantili per tentare un minimo di intrigo psicologico che qui, obbiettivamente, viene a mancare del tutto. Malgrado un colpo di scena che vale da solo l’intero film, sono sempre gli angoli oscuri, i boschi terrificanti e i rumori sommessi a fare da padroni, elementi tipici di un cinema ormai stantio e fossilizzato. A risollevare un poco il prodotto finale ci pensa un parco attoriale di grande efficacia, a cominciare dalla neo-star Jennifer Lawrence nei panni di una ragazza tenace con il difficile compito di badare ad una madre non sempre all’altezza, qui impersonata da una convincente Elizabeth Sue. Anche Max Thierot, nel ruolo del giovane Ryan, appare calato appieno nel personaggio timido ed insicuro, capace di far breccia nel cuore di qualunque ragazza (forse però, a differenza delle sue eminenti colleghe, Max mostra una minor dimestichezza davanti alla macchina da presa).

Nel complesso Hates – House at the End of the Street non può dirsi sicuramente un fallimento, ma nulla toglie il fatto che in esso aleggia un’aura di già visto che di sicuro non accresce il merito di un’opera che avrebbe potuto rivelarsi potenzialmente innovativa, ma che finisce per cadere nel baratro dell’omologazione.

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Matteo Vergani
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Matteo Vergani
Laureato in Linguaggi dei Media all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, studiato regia a indirizzo horror e fantasy presso l'Accademia di Cinema e Televisione Griffith di Roma. Appassionato del cinema di genere e delle forme sperimentali, sviluppa un grande interesse per le pratiche di restauro audiovisivo, per il cinema muto e le correnti surrealiste, oltre che per la storia del cinema, della radio e della televisione.
hates-house-at-the-end-of-the-street-recensioneHates - House at the End of the Street non può dirsi sicuramente un fallimento, ma nulla toglie il fatto che in esso aleggia un’aura di già visto che di sicuro non accresce il merito di un’opera che avrebbe potuto rivelarsi potenzialmente innovativa, ma che finisce per cadere nel baratro dell’omologazione.