Il Mistero di Dante recensione del film con F. Murray Abraham

Il Mistero di Dante recensioneC’era davvero bisogno di dar vita a questo confuso – nonché profondamente noioso – guazzabuglio di teorie esoteriche/templaristiche/massoniche sulla figura del Sommo Poeta, e sul significato che si cela dietro i versi della sua Divina Commedia? Forse no. Soprattutto se il suddetto garbuglio ha avuto bisogno di un pericoloso e mal funzionante mix di generi cinematografici diversi per venire alla luce. E in effetti, nel suo Mistero di Dante il regista Louis Nero ha pensato bene di unire il documentario classico con un’esigua parte di fiction, scandita dalle fugaci apparizioni del Premio Oscar F. Murray Abraham, e suggellato da un iniziale mockumentary. Sullo sfondo, le famose illustrazioni del disegnatore Gustave Doré, per l’occasione animate e supportate da voci fuori campo che interpretano (senza riuscirvi) le parole Dantesche.

 

Lo scopo? Svelare il contenuto iniziatico-simbolico che si cela dietro alle terzine del Poema, partendo dall’appartenenza dell’autore al gruppo fiorentino “I Fedeli d’Amore”. E così vediamo Valerio Massimo Manfredi, Gabriele La Porta, Roberto Giacobbo e altri ancora, fornire un pasticciato bagaglio di conoscenze/testimonianze sulle possibili interpretazioni anti-convenzionali della Commedia, in cui gli Ordini di Cavalleria si sommano alle teorie sui Rosacroce e alle credenze dei Pitagorici. Tirando in ballo Shakespeare, l’Epopea di Gilgamesh, i testi sacri musulmani – e chi più ne ha più ne metta.

Non si vuol mettere in discussione l’autorevolezza dei signori in materia, (compito che, semmai, spetterebbe ai loro colleghi), quanto sottolineare l’assoluta inadeguatezza di questi lunghi voli pindarici – peraltro presentati come certezze – ad un impianto filmico degno di questo nome. Poco importa che a riempire i buchi ci sia l’esperienza attoriale di una star come Abraham, con ogni probabilità scelto da Nero come suo asso nella manica (l’unico?): egli stesso, per quanto sempre dignitoso nel ruolo del narratore/alter-ego dantesco, non riesce a trovarsi a proprio agio di fronte a questa non-sceneggiatura.

Certamente, il cosiddetto “quarto livello” di lettura dell’opera Dantesca, quello “anagogico” che vuole conoscere a fondo le parole e andare oltre un’interpretazione letteraria/filosofica/sociale delle stesse, è esistito e ancora oggi rappresenta parte degli studi sulla Divina Commedia. Ciò che non si comprende, e su cui è lecito nutrire seri dubbi, è quanto tale livello sia davvero necessario per apprezzare appieno la bellezza dei versi Danteschi.

Woody Allen un tempo ironizzò: “Come si ascolta Mozart? Con le orecchie!”. Ecco, ogni tanto bisognerebbe ricordarsi che l’universalità della bellezza insita nella Divina Commedia rende i suoi versi “autosufficienti”: questo per dire che, forse, le teorie custodite nel Mistero di Dante nulla aggiungono al piacere che deriva dalla lettura del Poema.

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Ilaria Tabet
Laureata alla specialistica Dams di RomaTre in "Studi storici, critici e teorici sul cinema e gli audiovisivi", ho frequentato il Master di giornalismo della Fondazione Internazionale Lelio Basso. Successivamente, ho svolto uno stage presso la redazione del quotidiano "Il Riformista" (con il quale collaboro saltuariamente), nel settore cultura e spettacolo. Scrivere è la mia passione, oltre al cinema, mi interesso soprattutto di letteratura, teatro e musica, di cui scrivo anche attraverso il mio blog:  www.proveculturali.wordpress.com. Alcuni dei miei film preferiti: "Hollywood party", "Schindler's list", "Non ci resta che piangere", "Il Postino", "Cyrano de Bergerac", "Amadeus"...ma l'elenco potrebbe andare avanti ancora per molto!