Un ragazzo d’oro: recensione del film con Sharon Stone

Un ragazzo d'oro

A tre anni di distanza dall’ultimo Il cuore grande delle ragazze, Pupi Avati torna dietro la macchina da presa per raccontarci nuovamente il tema del rapporto padre/figlio in Un ragazzo d’oro, un tema sempre più pressante non solo nella sua vita ma anche nella sua produzione. Dopo La cena per farli conoscere, Il papà di Giovanna e Il figlio più piccolo, Avati ipotizza e racconta una nuova tipologia di padre, quello fallito, il padre che fa gravare il suo fallimento sul proprio figlio, generando una vera e propria lotta dalla quale si prova ad uscire (vincitori o vinti?) cercando in tutti i modi di compensare e/o risarcire ciò che quella figura così importante non è riuscita a conquistare. Attraverso la storia di Davide, interpretato da Riccardo Scamarcio (che indubbiamente si confronta con una delle prove più complesse e mature della sua carriera), il regista italiano mette a punto il resoconto di un atto d’amore gratuito, l’atto d’amore di un “ragazzo d’oro” che sacrifica la sua vita (e la sua salute mentale) per un padre che non ha mai fatto nulla per lui.

 

In Un ragazzo d’oro Davide Bias (Riccardo Scamarcio), figlio di uno sceneggiatore di film di serie B, è un pubblicitario col sogno di scrivere qualcosa di bello, di vero. Convive quotidianamente con ansia e insoddisfazione: neanche la fidanzata Silvia (Cristiana Capotondi) sa come sollevarlo dalle sue insicurezze. Quando il padre improvvisamente muore, da Milano il giovane si trasferisce a Roma dove incontra la bellissima Ludovica (Sharon Stone), un’editrice interessata a pubblicare un libro autobiografico che il papà di Davide aveva intenzione di scrivere. Allora il libro lo scrive lui stesso, come se a farlo fosse suo padre: questo lo aiuterà a riconciliarsi con la figura paterna, ma non a risolvere le sue inquietudini…

Un ragazzo d'oro

Un soggetto di grandissimo spessore e dal potenziale drammatico enorme si risolve, però, in una sceneggiatura approssimativa stracolma di dialoghi e situazioni che a tratti appaiono innaturali e forzati. Per tutta la durata del film si ha come la sensazione di rimanere in disparte, di non poter avere libero accesso alle motivazioni intrinseche alla base della storia e dei suoi personaggi, alcuni dei quali estremamente marginali, quasi di contorno, che per nulla sembrano incidere sullo sviluppo narrativo (uno fra tutti, quello di Silvia, interpretata da Cristiana Capotondi). In merito alla partecipazione di Sharon Stone, l’intramontabile icona lanciata da Basic Instinct sembra essere tutto fuorché un reale interprete; piuttosto un richiamo, un marchio, un qualcosa di allettante che spesso finisce col risultare straniante rispetto a tutto ciò che accade in scena.

In uscita il 18 settembre, Un ragazzo d’oro è una ricerca che non scava mai a fondo, trascinandosi dietro personaggi come sospesi, penalizzati da una sceneggiatura incostante che lascia allo spettatore più domande che risposte.

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