Grandi Speranze recensione

Nel periodo di povertà creativa in cui versa il cinema, sembra naturale rivolgersi ai franchise di successo o alla letteratura, che da sempre offre tanto materiale da riportare sul grande schermo. E’ quello che deve aver pensato anche Mike Newell quando ha accettato di mettersi al timore dell’adattamento cinematografico di Grandi Speranze, dall’omonimo capolavoro letterario di Charles Dickens.

 

Grandi Speranze, come il romanzo, segue le vicissitudini di Pip, giovanotto povero e orfano, ma dalle grandi speranze, che sogna di diventare un gentiluomo e di poter ambire finalmente alle attenzioni di Estella, viziata e altezzosa signora che Pip ha incontrato da bambino e che non ha mai lasciato i suoi pensieri.

La comparsa di un misterioso benefattore permette al ragazzo di lasciare la bottega di fabbro dove lavora da apprendista e di trasferirsi a Londra, dove imparerà le buone maniere, entrerà a contatto con la società bene londinese e rivedrà, cresciuta e sempre più bella, la corteggiatissima Estella. La vita del giovane sembra assumere così una piega definita, fino a quando oscure rivelazione sulla vera identità del suo benefattore non metteranno in crisi le sue certezze e in pericolo la sua vita.

Recensione film Grandi Speranze di Mike Newell

Il regista di Quattro Matrimoni e un Funerale si trova a gestire un cast straordinario di attori preparatissimi insieme ad una grande storia romantica in cui i valori predominanti sono l’onore, l’amore e l’orgoglio, il tutto però tenuto insieme da una sceneggiatura frettolosa e un po’ discontinua, che regala una serie di quadri senza avere la capacità di dare una sensazione di continuum alla storia.

David Nicholls, autore del bellissimo romanzo Un Giorno, si cimenta di nuovo nella sceneggiatura, dopo aver adattato per lo schermo nel 2011 il suo stesso libro, e come è capitato per One Day, anche per Great Expectations l’operazione non può considerarsi riuscita.

Grandi SperanzeIn tutta la storia aleggia la fretta di raggiungere i momenti salienti dell’intreccio, lasciandoseli sfuggire una volta che si presentano, senza nemmeno riuscire a dare ritmo alla storia, anzi, lasciandola scorrere lentamente e senza emozioni. Unici momenti importanti da un punto di vista cinematografico, soprattutto per la bravura degli attori, sono quelli in cui emerge la scrittura di Dickens, ad esempio citiamo la dichiarazione di amore totale e incondizionato che Pip fa ad Estella, oppure la rivelazione di Magwitch al protagonista.

Il cast, completamente prelevato dai teatri inglesi, vede in prima fila il giovane ma promettente Jeremy Irvine nel ruolo di Pip, già visto in War Horse di Steven Spielberg e come in quel caso chiamato a sollevare le sorti di un film mediocre; il magnifico Ralph Fiennes è Magwitch, mentre Miss Havisham è interpretata con il consueto e gradevole livello di follia da Helena Bonham Carter, che sembra trovare in questi ruoli borderline il suo stato naturale. Completano il cast Jason Flemyng, Robbie Coltrane e la bellissima Holliday Grainger, già vista in Jane Eyre e che tra poco vedremo in un altro atteso cine-romanzo, l’Anna Karenina di Joe Wright.

L’indiscutibile bravura degli attori però non basta a dare ritmo ad un film che dovrebbe fare dell’intreccio di sceneggiatura il suo punto forte ma che invece proprio su questo punto si accascia. Peccato per Newell che dopo aver dato vita a tanti capolavori, sembra stentare a ritrovare quella verve che l’ha reso famoso e apprezzato.

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