War Horse: recensione del film di Steven Spielberg

War Horse

Nonostante il passo falso di Indiana Jones e il Regno dei Teschi di Cristallo, Steven Spielberg è tornato in sella. Senza troppi problemi e complimenti ha portato al cinema il famosissimo fumetto di Hergè (insieme a Peter Jackson) nella fastosa messa in scena di Tin Tin uscito lo scorso ottobre, ed ora, aspettando sue opere più impegnative come il Lincoln attualmente in produzione, esce al cinema War Horse, favola sulla guerra e sull’amicizia tra un ragazzo e il suo cavallo. In perfetto stile spielberghiano la musica, le immagini, la sceneggiatura (basata sul romanzo omonimo di Michael Morpugno) e persino i visi degli attori raccontano di Steven, dell’immaginario cinematografico che ha creato nel corso di più 40 anni di carriera nel cinema. Albert è un ragazzo figlio di contadini a cui viene dato l’incarico di addestrare un giovane cavallo, che lui chiamerà Joy.

 

Dal successo di Albert con Joy dipendono le sorti della fattoria di famiglia e così tra il ragazzo e il cavallo si instaura più di un rapporto tra padrone e animale domestico: i due diventano amici e fratelli. Purtroppo la guerra dividerà i due, che nonostante le asperità del campo di battaglia e della trincea, cercheranno sempre di ricongiungersi. Steven Spielberg ci mostra il suo piacere a girare una storia come questa; apologia dei buoni sentimenti con tanto di happy ending e di scene sul filo del plausibile si susseguono con la consueta maestria che il regista ha dietro la macchina da presa. La splendida fotografia firmata dal fedele collaboratore di Spielberg, Janusz Kaminski (premio Oscar per Schindler’s List e Salvate il Soldato Ryan), travalica in alcune sequenze la storia stessa, diventando vera e propria protagonista del film. John Williams poi ci mette del suo realizzando una colonna sonora orecchiabile, onnipresente e che, come ogni sua realizzazione, dona enfasi e profondità a tutto il film.

War Horse, l’omaggio di Steven Spielberg

WAR HORSEWar Horse però non è certo esente di difetti, tra tutti la particolare lentezza dell’introduzione, in cui Spielberg si impegna a gestire e spiegare le dinamiche che muovono i personaggi, calcando un po’ la mano su alcuni caratteri (vedi David Thewlis nei panni del cattivo padrone) e rischiando di renderli ridicoli. Intelligente invece la scelta del cast, estremamente vario e ricco di piccole partecipazione che ne arricchiscono diversi momenti: ci sono Peter Mullan, straordinario protagonista di Tyrannusaur; Emily Watson, che non ha bisogno di presentazioni; e poi il già citato David Thewlis, Tom Hiddleston, Benedict Cumberbatch.

Alla sua prima apparizione sul grande schermo Jeremy Irvine, inglese fino al midollo, pescato dal palcoscenico teatrale e regalato al mondo del cinema, ha dalla sua una buona esperienza professionale, una straordinaria somiglianza con l’Ethan Hawke de l’Attimo Fuggente, e tutte le carte in regola per sfondare nel mondo del cinema. Pur non rappresentando di certo il punto più alto della carriera del regista de Lo Squalo e E.T., War Horse rimane fedele al suo autore, pagandone le conseguenze in prevedibilità drammaturgica e ritmo dilatato nella prima parte. Il film resta comunque una apologia dei buoni sentimenti, forse desueti in un mondo sempre più cinico, ma che asseconda le intenzioni di Spielberg nel realizzare un film per famiglie e nel rappresentare ancora una volta la bellezza del cinema come macchina dei sogni.

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