Matt Scudder (Liam Neeson) è un investigatore privato senza licenza, con un passato da poliziotto e da alcolista. Seppur controvoglia, accetta l’incarico di aiutare il narcotrafficante Kenny Kristo (Dan Stevens) per incastrare i due uomini che gli hanno rapito, torturato e ucciso la moglie. Scudder scoprirà che quello non è né il primo né l’ultimo dei massacri perpetrati dai due barbari assassini.
Basato sulla serie di romanzi gialli best-seller nati dalla penna di Lawrence Block, La preda perfetta – A Walk Among the Tombstones è scritta e diretta da Scott Frank che attraverso l’escamotage temporale, del 1999, struttura un giallo vecchia scuola che sembra richiamare le atmosfere desolate tipiche dei film del Nord Europa in cui il protagonista mette in risalto le sue doti di detective. La storia viene tracciata con perizia da parte della macchina da presa, attraverso inquadrature fisse, dettagli e primi piani, che portano lo spettatore a seguire avidamente il punto di vista di Matt durante la costruzione del caso.
A suggellare questa dinamica narrativa ci pensa la fotografia plumbea e le musiche psico-emotive che favoriscono la trama del thriller per un indagine organizzata per seguire il ritmo naturale degli avvenimenti e che ha nulla a che vedere con i toni dei recenti thiller iper-tech. Difatti non ci saranno test del DNA o una triangolazione dati per trovare il serial killer, bensì la narrazione gioca molto sull’empatia e sulle capacità del protagonista che molto spesso dovrà fare leva sulla deduzione, l’osservazione ed anche fortuna per venire a capo di un fitto mistero.

La preda perfetta è un film discontinuo; solido e verosimile per la maggior parte del tempo ma che in seguito perde di unità a discapito del finale, apparso fin troppo forzato e pasticciato in numerosi passaggi. Un racconto che si cala nelle atmosfere del giallo ma che molto spesso predilige alternare registri narrativi rovinando soprattutto l’azione filmica.

