Negli ultimi anni, l’idea di sopravvivere a una catastrofe globale è diventata sinonimo di privilegio estremo. I media riportano con sempre maggiore frequenza notizie sui super-ricchi che costruiscono bunker sotterranei per prepararsi a un evento di estinzione. Questa ossessione ha ispirato numerose opere di finzione, dalle serie televisive ai film, che immaginano miliardari isolati in rifugi mentre il mondo esterno crolla.
La premessa di Il rifugio atomico
La nuova serie spagnola di Netflix, Il rifugio atomico (El refugio atómico), creata dagli autori de La casa di carta, Álex Pina ed Esther Martínez Lobato, riprende questo filone narrativo ma lo ribalta. All’inizio, mentre le tensioni geopolitiche crescono, i clienti del progetto Kimera Underground Park si rifugiano in bunker a 300 metri di profondità, convinti di restarci solo temporaneamente. Ma quando sembra scoppiare una guerra nucleare, scopriamo subito il colpo di scena: l’apocalisse non è reale. È tutto un inganno orchestrato da Kimera, i cui scopi verranno svelati poco a poco.
Una satira del potere e della ricchezza
La serie diventa così una metafora della vita artificiale dei super-ricchi, protetti da un guscio di finzioni. Pur contenendo elementi di critica sociale, lo show non rinuncia al ritmo serrato e alla drammaticità che hanno reso celebre La casa di carta: colpi di scena, tensioni familiari e passioni proibite si intrecciano con la truffa messa in scena da Kimera, guidata dalla manipolatrice Minerva.
La storia di Max
Uno dei protagonisti centrali è Max Varela, un giovane segnato da un passato tragico: uccide accidentalmente la fidanzata Ane in un incidente stradale e finisce in carcere, dove scopre la durezza della vita senza privilegi. Questa esperienza lo trasforma, rendendolo capace di affrontare la verità meglio dei ricchi che lo circondano. Dopo la scarcerazione, viene portato nel bunker dal padre Rafa, dove ritrova la famiglia di Ane e deve convivere con rancori, sospetti e segreti.
Realtà artificiali a confronto
La trama alterna momenti avvincenti a parti più lente e prolisse, con dialoghi che spiegano eccessivamente motivazioni e complotti. Oltre all’inganno di Kimera, assistiamo a una vera e propria soap opera familiare: vecchi tradimenti emergono, matrimoni infelici crollano, passioni represse vengono alla luce. Le bugie dei genitori di Max e di Ane, intrecciate da decenni, si sgretolano man mano che la vita sotterranea diventa insostenibile.
Il meccanismo dell’inganno
I flashback mostrano come Minerva e il suo team abbiano architettato la finta apocalisse con messinscene spettacolari, degne di un blockbuster. Nonostante alcune incongruenze logiche, la serie sottolinea come i miliardari siano talmente abituati a vivere di illusioni da accettare senza dubbi le bugie di Kimera. Il parallelo con la scrittura televisiva stessa è evidente: anche i truffatori, come gli sceneggiatori, costruiscono storie per manipolare emozioni e comportamenti.
La rinascita di Max
Max, grazie alla sua esperienza in carcere, è più difficile da ingannare. Le rivelazioni sul passato della madre Frida, da anni amante del padre di Ane, e l’ammissione che lei non lo aveva mai visitato in prigione, lo spingono a confrontarsi con la falsità della sua famiglia. Parallelamente, Asia, sorella di Ane, scopre di essersi sempre mentita a sé stessa e di amare Max nonostante tutto. I due stringono un legame fondato sulla ricerca della verità.
L’uscita verso la realtà
Nel finale, Max decide di affrontare il mondo esterno, convinto che ci sia più speranza fuori che dentro al bunker, anche se gli è stato fatto credere che la superficie sia contaminata. Dopo aver promesso ad Asia che tornerà per lei, emerge alla luce del sole, in una scena che simboleggia la sua rinascita e la scelta di vivere nella realtà, non nelle illusioni.
Gioco e riflessione
Il rifugio atomico mescola intrattenimento e critica sociale. Pur presentando eccessi narrativi e toni a volte ironici, come dimostra il finale con Oswaldo che canta “American Idiot” in una discoteca fittizia, la serie offre una riflessione profonda: per pensare di meritarsi un rifugio privato dalla fine del mondo, bisogna essere estremamente egoisti e capaci di autoinganno.