Negli anni successivi all’esecuzione di Aileen Wuornos nel 2002 — dopo gli omicidi di sette uomini avvenuti in Florida tra il 1989 e il 1990 — la sua storia è stata oggetto di dibattiti, reinterpretazioni e mitizzazioni, ispirando l’interpretazione premiata con l’Oscar di Charlize Theron nel film Monster (2003) e numerosi documentari true crime.
Il nuovo documentario della regista Emily Turner, Aileen: storia di una serial killer, ora disponibile su Netflix, torna sul caso nel 2025 — non per rimettere in discussione il verdetto, ma per comprendere meglio chi fosse Wuornos e perché la sua storia continui a resistere a spiegazioni semplici.
«È così confusa e così complessa, in modo del tutto opposto a come ci piace che le donne siano», racconta Turner a Tudum. «E per me era davvero importante che non stessimo realizzando un film che cercasse di giustificare ciò che aveva fatto. Spero che le persone arrivino a conclusioni molto diverse tra loro».
Cosa c’è di nuovo nel documentario su Aileen Wuornos?
Il film include nuove conversazioni audio con figure chiave del caso Wuornos, insieme a filmati d’archivio dei servizi di Dateline della giornalista Michele Gillen, scene di tribunale e registrazioni della polizia. Mostra anche conversazioni mai viste prima tra Wuornos — quando si trovava nel braccio della morte — e la regista Jasmine Hirst.
La scelta di Turner di rinunciare alle interviste filmate aveva due obiettivi: innanzitutto, permettere agli spettatori di vivere gli eventi con maggiore immediatezza, lasciando che i filmati d’archivio scorressero senza interruzioni da parte di commentatori; inoltre, favorire riflessioni più sincere e rivelatrici da parte dei partecipanti.
«Ero sbalordita da quanto la gente ti racconti quando non hai una telecamera davanti», dice Turner. «Volevamo che quelle voci risultassero il più possibile dirette, non filtrate».
Il risultato è un’inversione deliberata della classica struttura del true crime. Invece di ricostruzioni cronologiche e interviste di esperti che attribuiscono significato agli eventi, gli spettatori vengono immersi direttamente nell’indagine, osservando filmati grezzi, reazioni spontanee e contraddizioni in tempo reale.
«[Volevamo] che sembrasse di guardare i filmati grezzi della storia che si sviluppa insieme alle persone che ne facevano parte», spiega Turner. «Così, quando si vede quel poliziotto, lui sta effettivamente guardando il materiale che voi state guardando, e quelle sono le sue reazioni a cose che non vedeva da trent’anni».
Cosa spinse Wuornos a uccidere sette uomini?
Mostrando momenti non filtrati del caso così come emersero, Turner ha voluto superare la visione semplicistica di Wuornos come “assassina o vittima”. Si è invece concentrata sui momenti chiave che hanno plasmato — e alla fine deformato — il corso della sua vita.
«È molto più facile liquidare qualcuno che ha commesso atti così orribili come un assassino a sangue freddo, piuttosto che vederlo come un essere umano profondamente ferito», afferma Turner. «In realtà, lei è stata creata, e questo è agghiacciante».
Nata nel 1956 nel Michigan, Wuornos non conobbe mai suo padre e fu abbandonata dalla madre a quattro anni. Fu cresciuta dai nonni, da cui subì abusi fisici e sessuali. A 14 anni rimase incinta dopo uno stupro e diede alla luce un bambino che fu costretta a dare in adozione. Abbandonò la scuola e, dopo essere stata cacciata di casa dal nonno, visse nei boschi vicini.
Fece autostop fino in Florida, sopravvivendo grazie al lavoro sessuale e a piccoli reati. Attraverso filmati d’archivio e interviste, il documentario suggerisce che questo percorso traumatico e instabile fu la premessa dei crimini che la resero famosa.
Le eco di quella storia di violenza risuonano anche in tribunale, quando il film rievoca la difesa di Wuornos, basata sull’autodifesa. Il documentario presenta la sua testimonianza riguardo a una brutale aggressione sessuale da parte della sua prima vittima, Richard Mallory, senza interrompere la narrazione con commenti esterni.
Rivela inoltre che i documenti sulla precedente condanna di Mallory per tentato stupro e i suoi anni di trattamento in una struttura per autori di reati sessuali non furono mai presentati come prove. Gli spettatori sono quindi invitati a valutare il racconto di Wuornos alla luce di questi dettagli e a chiedersi se ciò cambi il giudizio sul suo caso.
Fu condannata per l’omicidio di Mallory e condannata a morte. Quello fu il suo unico processo: in seguito si dichiarò colpevole (senza ammettere formalmente la colpa) per altri cinque omicidi, mentre non fu mai incriminata per il settimo.
Che Wuornos meriti o meno compassione per le violenze subite, Turner sottolinea che la dissonanza è parte integrante del messaggio. «Spero che due persone guardino questo film e arrivino a conclusioni completamente diverse», dice. «Voglio che il pubblico si senta confuso».
In che modo genere e stigma hanno influenzato il caso Wuornos?
Rara donna in una categoria criminale dominata dagli uomini, Wuornos affrontò un’attenzione morbosa da parte dei media e del sistema giudiziario. Durante la realizzazione del film, Turner e la sua squadra si sono trovate a dover contrastare quegli stessi pregiudizi.
«Eravamo una squadra piuttosto piccola e quasi tutta al femminile, quindi ci mettevamo costantemente in discussione», racconta Turner. «Parlavamo di lei ogni giorno, e ciascuna di noi si trovava a cambiare punto di vista di continuo. Era proprio quello il mio obiettivo: portare gli spettatori nello stesso viaggio che abbiamo fatto noi».
Nei materiali d’archivio e nelle interviste audio, il pregiudizio emerge chiaramente: i giornalisti la etichettano e la sensazionalizzano come una prostituta («È stata definita la “prostituta infernale”», dice un servizio nel film). Il procuratore capo, John Tanner, un cristiano rinato, la descrisse come irrimediabilmente malvagia e degna della punizione più severa possibile.
La figura imponente di Tanner come procuratore “fuoco e zolfo” portò Turner a scoprire un collegamento sorprendente tra lui e un altro famigerato serial killer: Ted Bundy. Questo rivelò un evidente doppio standard di genere.
«Era qualcosa che all’epoca era stato riportato, ma per noi è stata una sorpresa: John Tanner, il procuratore, era stato il “compagno di preghiera” di Ted Bundy pochi anni prima del processo a Wuornos, trascorrendo ore a pregare con lui come parte del suo ministero carcerario», spiega Turner. «E poi, solo pochi anni dopo, lo stesso uomo persegue Aileen e scrive articoli d’opinione in cui sostiene che le prostitute sono la causa dei mali della società — è qualcosa di profondamente immorale, nel migliore dei casi».
Questo contrasto solleva una domanda che il film pone più volte: chi ha diritto alla complessità, alla grazia o alla possibilità di cambiamento — e chi no?
Turner sottolinea come quel clima culturale si fosse insinuato anche nella percezione che Wuornos aveva di sé stessa in carcere. «Il suo rifiuto di vedersi come vittima era un aspetto molto difficile della sua personalità», afferma. «Dice a Jasmine: “Non sono una donnicciola debole”. È devastante sentirla accennare con leggerezza a ciò che aveva sopportato crescendo».
Qual era la relazione tra Wuornos e Tyria Moore?
Tyria Moore era la fidanzata di Wuornos durante il periodo degli omicidi e divenne parte dell’indagine quando la polizia cominciò a sospettare di Aileen. Dopo aver lasciato la Florida, Moore collaborò con le autorità e, durante telefonate registrate organizzate dalla polizia, cercò di spingere Wuornos a fare ammissioni compromettenti.
Nel documentario si sentono frammenti di quelle chiamate, in cui Moore incalza Wuornos a confessare, seguiti da dichiarazioni implicite di colpevolezza da parte di quest’ultima. Moore poi testimoniò contro Wuornos in tribunale, e la sua deposizione fu determinante per la condanna.
Il film presenta la collaborazione di Moore con gli investigatori come il risultato della pressione del momento e della complessità del legame che la univa a Wuornos. «È giusto dire che Tyria non vuole far parte del racconto di questa storia», osserva Turner.
Le famiglie delle vittime di Wuornos partecipano al documentario?
Pur insistendo sul fatto che il genere, lo stigma e la relazione di Wuornos con Moore debbano essere considerati per comprendere il caso, Turner è altrettanto attenta a non cadere nell’estremo opposto — quello di trasformare Wuornos in una sorta di vendicatrice femminista che oscuri il dolore reale delle sue vittime. «Alcuni si chiedono se possa essere considerata un’icona femminista. Io credo che la verità di ciò che ha fatto sia brutale», afferma.
Questo equilibrio si riflette anche nel modo in cui il film tratta le persone più direttamente colpite. Turner spiega che la troupe è rimasta in contatto con le famiglie e ha valutato con cura le proprie responsabilità nei loro confronti, scegliendo di non trasformare il loro dolore in materiale filmico.
«Ci sono delle vittime al centro di tutto questo, e rimangono sempre in primo piano nei nostri pensieri», dice. «Abbiamo riflettuto molto sulle nostre responsabilità come registi. Ma un regista deve scegliere la storia che vuole raccontare, e sarebbe stato sbagliato ridurre i traumi di quelle famiglie a brevi spezzoni in questo progetto».
Come si conclude il documentario?
Nel finale, Aileen: storia di una serial killer invita gli spettatori a confrontarsi con una verità scomoda: questa storia non offre risposte nette — e il modo in cui vediamo Wuornos rivela tanto di noi quanto di lei.
«Penso che, soprattutto oggi, in un mondo di soluzioni rapide, ci venga continuamente detto come pensare, e che tutto si divida in bianco e nero. Ma non è così», afferma Turner. «Vogliamo che Aileen sia o la vittima impotente creata dalla società, a cui la vita è semplicemente accaduta, oppure l’assassina a sangue freddo. Ma nessuna di queste due immagini le rende giustizia. È carismatica, ed è un’assassina… È solo molto più facile pensare in termini assoluti. Ma la vita non è così, vero?».
