Annunciato il programma della 39° Settimana internazionale della critica. Con le stesse modalità green dello scorso anno, ovvero senza una conferenza stampa fisica ma soltanto con un breve video, conciso ed efficace, Beatrice Fiorentino, delegata generale della Settimana della Critica 2024, trentanovesima edizione della sezione autonoma e parallela organizzata dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani (SNCCI) nell’ambito della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia, svela la line-up di quest’anno.
La SIC sta portando avanti un discorso coeso e solido che si guarda intorno rispecchiando nella sua selezione il sentire del tempo, mutevole, incerto, in continuo movimento, in attesa di una tempesta. La selezione presenta quest’anno dagli Usa Homegrown dello statunitense Michael Premo, e No Sleep Till, l’esordio di Alexandra Simpson. Dai cugini inglesi arriva invece Paul & Paulette Take A Bath di Jethro Massey, commedia nera ma allo stesso tempo dolce.
Dal Vietnam un altro esordio, quello di Dương Diệu Linh che, tra romance e tradizione racconta Mưa trên cánh bướm (Don’t Cry, Butterfly). Dall’Egitto arriva Perfumed with Mint di Moattar Binaana che racconta la propria terra con un tono che ricorda il realismo magico. Oltre i toni fantastici di questi ultimi due titoli c’è Anywhere, Anytime il film dell’iraniano Milad Tangshir, film che però batte bandiera italiana, visto che Milad vive in Italia da 13 anni. La 39° Settimana internazionale della critica si apre anche al grottesco di Peacock dell’austriaco Bernhard Wenger. Apertura e chiusura sono stati invece riservati alla Francia che presenta, rispettivamente, Planète B di Aude Léa Rapin, con protagonista Adèle Exarchopoulos, e Little Jaffna di Lawrence Valin. Ricca è anche la selezione dei cortometraggi della sottosezione SIC@SIC.
Ecco di seguito il programma della 39° Settimana internazionale della critica.
FILM D’APERTURA
Planète B
di Aude Léa Rapin
Francia
CONCORSO
Anywhere Anytime
di Milad Tangshir
Italia, 81′
Don’t Cry, Butterfly
di Duong Dieu Linh
Vietnam, 97′
Homegrown
di Michael Premo
USA, 110′
No Sleep Till
di Alexandra Simpson
USA, 93′
Paul and Paulette Take a Bath
di Jethro Massey
GB, 108′
Peacock
di Bernhard Wenger
Austria, 103′
Perfumed with Mint
di Muhammed Hamdy
Egitto, 112′
FILM DI CHIUSURA
Little Jaffna
di Lawrence Valin
Francia, 97′
PROIEZIONE SPECIALE
Il postino
di Michael Radford
Italia
CORTOMETRAGGI D’APERTURA
Dark Globe
di Donato Sansone
The Eggregores’ Theory
di Andrea Gatopoulos
CONCORSO SIC@SIC
At Least I Will Be 8 294 400 Pixel
di Marco Talarico
Billi il Cowboy
di Fede Gianni
Nero Argento
di Francesco Manzato
Phantom
di Gabriele Manzoni
Playing God
di Matteo Burani, Arianna Gheller
Sans Dieu
di Alessandro Rocca
Things That My Best Friend Lost
di Marta Innocenti
CORTOMETRAGGIO DI CHIUSURA
Domenica sera
di Matteo Tortone
In che mondo viviamo? In che tempo viviamo? Un mondo indecifrabile, un tempo indefinito, colmo di incertezze, di incognite, all’interno del quale si è fatto difficile orientarsi e persino distinguere il vero dal falso, la realtà dalla finzione. Siamo dentro a un presente indeterminato, dove il rischio – ogni giorno più concreto – è quello di smarrire anche la capacità di interpretazione, quasi che i riferimenti, i codici che hanno permesso di riconoscerci e di definirci secondo un linguaggio comune, si stessero rivelando improvvisamente inadeguati, fallaci, contraddittori. In un simile scenario, a un passo dal baratro, in un mondo funestato da guerre, armi, questioni ambientali e sociali che impongono al più presto un radicale cambio di passo se si vuole scongiurare la catastrofe, che risposte può offrire il cinema? Non risposte, dubbi semmai. Le immagini del presente – alle quali non smettiamo mai di guardare, nonostante tutto, e alle quali ancora ci affidiamo nell’affannoso bisogno di coordinate – anziché generare certezze, ci interrogano, ci sfidano e ci richiamano alla necessità di una presa di coscienza e di responsabilità superiori, poiché oggi tutto è in discussione. Anche ciò che vediamo. Il cinema del presente sembra assecondare questo spaesamento, la sensazione di trovarci in un momento di sospensione, di attesa. I film che compongono il programma della 39. edizione della Settimana Internazionale della Critica, frutto di un sempre fertile e stimolante dialogo con il comitato di selezione formato da Enrico Azzano, Chiara Borroni, Ilaria Feole e Federico Pedroni, che ormai da tre anni mi affianca nella definizione delle rotte più solide del cinema contemporaneo, vanno in questa direzione, confermando lo smarrimento che ci accomuna a ogni latitudine del pianeta. Una selezione dai forti chiaro-scuri che trasmette un senso di instabilità generale, e che si compone in un ventaglio di proposte che, nella loro composita varietà, comunicano tra loro secondo il principio delle attrazioni, generando nell’insieme un discorso ancora più ampio, più dinamico e sfaccettato. Numeri record quest’anno alla SIC, che accoglie come sempre 7+2 titoli –scelti tra i quasi 700 considerati e provenienti da ogni continente– dove la rappresentazione del mondo è declinata attraverso i codici del cinema di genere e d’autore, con uno stile realista, documentario, talvolta ironico, oppure in chiave metaforica, attraverso il filtro del realismo magico. Nuove sfide ci attendono, sia sul piano della realtà che sul fronte della narrazione. Mentre osserviamo – senza pregiudizi, ma neppure disattenti – le nuove frontiere dell’immagine, anche quelle generate artificialmente dalle AI nelle sue prime convincenti applicazioni (a prescindere dall’inderogabile accordo sui principi etici e legislativi che ne dovranno disciplinare la produzione), ci confrontiamo con un presente schizofrenico, eppure a suo modo elettrizzante. Forse non necessariamente distruttivo, ma potenzialmente rigenerante, o rigenerativo, in ogni caso un’opportunità per ripensare, ancora, la storia e il futuro del cinema. Sarebbe paradossale e bellissimo, se proprio alle porte dell’inferno, quando ogni schema è caduto e tutto sembra indicare che siamo ormai prossimi alla fine, riuscissimo invece a trasformare la tempesta perfetta in un nuovo inizio. E quindi rinascere. Rifondare. Anche attraverso l’immagine.
Beatrice Fiorentino
39° Settimana internazionale della critica – l’immagine del 2024
Non è mai stato tanto difficile guardarsi indietro. Tre anni fa uscivamo da una pandemia spaventosa che ci aveva costretti tra le mura delle nostre abitazioni e tornavamo ad abbracciarci, a toccarci, a vivere di nuovo l’esperienza della sala cinematografica come qualcosa di importante perché condivisa. Abbiamo ribadito l’anno successivo la voglia di riprenderci tutto, di occupare spazi con sguardi sfidanti, orgogliosi, fieri del nostro essere creature in eterno movimento. Soltanto l’anno scorso, però, cercavamo già il ritorno a una dimensione più intima e personale. A una narrazione che partisse dal corpo e che al corpo tornasse, vedendolo come veicolo assoluto di codici e racconti. E ora? Cos’è ora? Ma soprattutto, ora quando?, se da ciò che è accaduto ieri sembrano già passati giorni, fagocitati come siamo da informazioni che si sommano alle precedenti, istante dopo istante, giungendo da ogni angolo del globo e capovolgendo ogni illusoria stabilità. Annichiliti da un mondo che sembra aver perso ogni umanità, senza alcuna certezza nel domani, ci sfaldiamo, perdiamo le nostre fattezze, disfacendoci in dubbi, paure e aria, in attesa della prossima tempesta che ci spazzerà via. Intorno a noi, strade prive di cartelli o indicazioni. Poca luce. Solo la consapevolezza che la natura resterà a guardare tutto quel che ci accadrà, sopravvivendoci. E dopo?
Grande è la confusione sotto il cielo. La situazione, forse, non è del tutto eccellente.
Mauro Uzzeo
A volte, per andare avanti, c’è bisogno di togliere. Graffiare lo strato superficiale, andare a fondo. Cercare le forme nude, scarne, distruggere per poi ricostruire. E continuare a muoverci, senza fermarci, fino al cuore della tempesta. Ci piace l’idea di unire i linguaggi: l’abbiamo fatto con il cinema, il disegno, la fotografia. Questa volta abbiamo avuto voglia di cercare i colori dentro strutture primitive, in contrasto col mondo che, mai come in questi ultimi anni, ci offre uno spettacolo giornaliero di bellezza levigata e smussata. Così abbiamo lasciato correre i pensieri dentro l’immagine, centrifugando la figura, storcendola, sporcandola, perché ci è sembrato un buon modo di raccontare il presente. Se quello che abbiamo intorno è incerto, è proprio dall’incertezza che bisogna ripartire.
Emiliano Mammucari