40 Secondi, molto più di un film: le testimonianze del cast sulla memoria di Willy Monteiro Duarte

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40 Secondi non è soltanto un film che ricostruisce una delle vicende più traumatiche degli ultimi anni: è un’opera che tenta di restituire dignità, complessità e umanità a un ragazzo diventato simbolo suo malgrado. Con un approccio lontano da ogni sensazionalismo, Vincenzo Alfieri sceglie la strada più difficile e più necessaria: raccontare Willy Monteiro Duarte non attraverso l’eco del caso mediatico, ma attraverso il silenzio delle persone che lo conoscevano, dei luoghi che attraversava, della comunità che lo ha pianto.

Il film scava nella notte che ne ha segnato il destino, ma soprattutto scandaglia le dinamiche sotterranee della violenza giovanile, della frustrazione, delle identità in conflitto. Attraverso gli occhi degli attori che interpretano quei minuti drammatici — ragazzi che potrebbero essere i nostri fratelli, compagni di classe, vicini di casa — 40 Secondi riapre una ferita ancora viva, chiedendo a chi guarda di assumersi un pezzo di responsabilità collettiva.

E sono proprio le parole del cast e del regista a rivelare quanto sia stato delicato, persino doloroso, avvicinarsi a questo racconto: un lavoro di ascolto, rispetto e fedeltà emotiva, che ha imposto a tutti un confronto continuo con ciò che siamo diventati come società. Perché raccontare Willy significa anche interrogarsi su ciò che resta della gentilezza, del coraggio, della scelta – rarissima – di non voltarsi dall’altra parte.

Le intenzioni del regista: «Una storia di ragazzi qualunque, non di criminali»

Fin dall’inizio della promozione del film, Vincenzo Alfieri ha chiarito la postura etica dietro il progetto: evitare ogni forma di spettacolarizzazione e mettere al centro le persone, non il fatto di cronaca. «Questa storia parla soprattutto di ragazzi qualunque — non è una storia criminale, ma di dolore. Una storia di persone come tutti noi.» Una scelta che riflette non solo il desiderio di raccontare Willy con sincerità, ma anche quello di restituire complessità ai suoi coetanei, spesso ingabbiati in narrazioni semplicistiche o stigmatizzanti.

Justin De Vivo in 40 Secondi
© Cortesia Eagle Pictures

Raccontare Willy senza retorica: «Non un supereroe, ma un ragazzo normale»

Alfieri ha ribadito più volte che l’obiettivo era evitare di trasformare Willy in un’icona astratta, per restituirlo invece nella sua dimensione più pura e reale. «Abbiamo voluto mostrare Willy come un ragazzo normale, e non come un supereroe. I supereroi non esistono, esistono gli esseri umani, con le loro fragilità e generosità.» Un approccio che ha richiesto delicatezza, attenzione e soprattutto la capacità di far dialogare il cinema con la verità emotiva dei fatti.

Il gesto di Willy e l’impossibilità di “spiegare” la violenza

La scena chiave del film — quei 40 secondi in cui tutto cambia — è stata affrontata dal regista con grande responsabilità. La riflessione sulla violenza è uno degli assi portanti della narrazione: «Willy ha fatto una cosa meravigliosa – non si è messo in mezzo alla lite per difendere un amico… ma ha cercato di sedare due persone. Non si può trovare una spiegazione dietro a questa violenza, perché purtroppo non c’è.» Vincenzo Alfieri La dimensione del gesto — istintivo, umano, immediato — è ciò che rende il racconto così potente e doloroso.

40 Secondi tragedia film
© Cortesia Eagle Pictures

Il lavoro degli attori: verità emotiva e responsabilità

Gli attori coinvolti nel progetto hanno dichiarato più volte quanto difficile sia stato interpretare ruoli così vicini alla realtà. Daniele Cartocci, nel film uno dei ragazzi coinvolti nella vicenda, ha parlato apertamente della forza della sceneggiatura: «La prima cosa che ho pensato leggendo era che fosse scritta benissimo… tutto risultava incredibilmente reale: dalla struttura della sceneggiatura alle singole battute.»  Daniele Cartocci Cartocci ha anche spiegato il modo in cui ha costruito il proprio personaggio, cercando sempre di non giudicarlo ma di comprenderne la deriva: «Christian è un ragazzo di provincia, smarrito e profondamente fragile. Questa sua fragilità però viene costantemente mascherata da una forte aggressività.» Daniele Cartocci

Questa lettura interna, più psicologica che didascalica, è ciò che dà al film uno spessore umano raro nei racconti basati su fatti reali.

40 Secondi come specchio della società: un film che parla al presente

Le dichiarazioni dei protagonisti convergono nell’idea che 40 Secondi sia un film necessario, non per rivivere una tragedia ma per comprenderne le radici: alienazione, fragilità, rabbia, incapacità di gestire il conflitto.

Il gesto di Willy — un ragazzo che ha tentato di fermare la violenza con la gentilezza — diventa così il fulcro morale del film. E nel riportare la sua storia allo sguardo del pubblico, Alfieri e il cast ci ricordano che dietro ogni titolo di giornale c’è un essere umano, e dietro ogni comunità ferita una domanda ancora aperta: cosa significa davvero essere responsabili gli uni degli altri?

Redazione
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