Incontro con Shah Rukh Khan

srkUn red carpet musicale e colorato ha accolto la grande star bollywoodiana Shah Rukh Khan, l’attore indiano più amato di sempre, che ha presentato al Festival del Cinema di Roma il suo nuovo film, Il mio nome è Khan. Per la regia di Karan Johar, l’acclamata pellicola di produzione indiana che ha registrato il maggiore incasso all’estero sarà distribuita nelle sale italiane a partire dal 26 novembre.

 

Ballerini indiani e una folla in delirio hanno acclamato il superdivo Khan sul tappeto rosso, che ha poi partecipato all’incontro col pubblico nella Sala Petrassi dell’Auditorium, dove si è registrato il tutto esaurito. Grande assente il regista Karan Johar che, come ha spiegato l’attore, è stato colpito dalla malaria, ma è già in fase di guarigione. Shah Rukh Khan, impeccabile nel suo abito nero, ha recitato in tutti e quattro i film diretti dal regista indiano, e con Il mio nome è Khan ha catturato i cuori di milioni di spettatori in tutto il mondo, non soltanto di nazionalità indiana.
altL’attore (45 anni appena compiuti) interpreta Rizwan Khan, un musulmano affetto dalla sindrome di Asperger che, dopo aver raggiunto con difficoltà una vita felice insieme all’hindu Mandira – interpretata da Kajol, con cui Shah Rukh forma la coppia cinematografica più amata di Bollywood – vede frantumarsi la propria serenità dopo l’11 settembre: a seguito dell’attentato si scatena un’ondata di discriminazione nei confronti dei musulmani e Khan decide di mettersi in viaggio per incontrare il presidente degli Stati Uniti e dirgli personalmente: “Il mio nome è Khan e non sono un terrorista”.

Il film è un omaggio alla tolleranza, al rispetto e all’amore al di là delle diversità. E nessuno avrebbe potuto interpretare il protagonista se non Shah Rukh Khan: “Io sono musulmano, ho studiato dai gesuiti e ho sposato una bellissima donna hindu. In famiglia, a scuola e nella religione ho appreso gli stessi principi: tolleranza, amore e rispetto. La gente questo lo capisce, mentre i politici utilizzano la religione nel peggiore dei modi”.

Per prepararsi al ruolo, l’attore si è impegnato moltissimo. “Mi ha aiutato la lettura de Il curioso caso del cane ucciso a mezzanotte di Mark Haddon, che parla di bambini affetti da sindrome di Asperger. Ho visto poi documentari sul tema e molti film, ma l’obiettivo era non ripetere quello che già era stato realizzato. Ho incontrato inoltre diverse persone affette da questa sindrome: non sono anormali come vengono purtroppo dipinti, bensì hanno capacità particolari, soltanto diverse dalle nostre”.

Sposato con la produttrice Gauri Chibba e padre di due bambini, Shah Rukh ha parlato molto di sé, confessando di essere una persona solitaria nonostante la fama mondiale di cui gode da vent’anni. “I fan mi accolgono sempre con calore, ma io mi sento lontano dallo star system. Una parte di me lavora nel cinema e fa cose che molti apprezzano, ma nel privato c’è un’altra persona, riservata e solitaria. I fan mi chiamano SRK e, dato che i miei amici pensano che sia schizofrenico, mi chiamano SRK 1 e SRK 2.Talvolta mia moglie mi chiede con quale dei due Shah Rukh stia parlando… Quando mi trovo in pubblico mi piace stare con la gente, mi piace che le persone che vengono a vedermi stiano bene, si divertano e abbiano un contatto con me. Voglio essere sicuro che le persone mi possano salutare, che siano contente di incontrarmi e che non pensino che il fatto di avermi visto sia stata una perdita di tempo. Quando però sono solo ho bisogno di stare con me stesso. Spesso mi chiudo in una stanza e potrei stare per ore a fissare il muro. Probabilmente è ciò che avrei fatto stasera se non fossi venuto qui”.

altBenché in patria – e non solo – sia venerato come un dio e sia uno degli uomini più ricchi d’Asia (è proprietario di una squadra di cricket, oltre a essere attore e produttore cinematografico), Shah Rukh rivela di essere una persona insicura, in costante cerca di affetto, e tormentato dal vuoto provocato dalla prematura morte dei genitori, avvenuta più di vent’anni fa. Afferma di aver deciso di fare l’attore proprio per compensare questa perdita, per cercare un’evasione dal dolore e non sprofondare nella depressione come invece è capitato a sua sorella.
Essere amato dalla sua famiglia e dai fan, da cui è soprannominato “King Khan” (Shah Rukh significa proprio “viso da re”), è l’unico modo per fuggire dal dramma del suo passato. “Dopo la morte dei miei genitori, non avrei mai pensato che un giorno avrei amato qualcuno quanto amavo loro. E invece ci sono riuscito grazie ai miei figli. A loro non interessa che io sia una star, in realtà preferiscono altri attori. Se non amano i miei film lo dicono con grande tranquillità; ultimamente hanno cominciato a prendere in giro il mio modo di ballare”.

Shah Rukh Khan afferma con modestia: “Non sono sexy come Banderas, non so ballare come Travolta, e non sono neanche particolarmente bello”. E quando alcune sue fan in sala gli urlano il loro apprezzamento, risponde scherzosamente: “Oh guarda, qui ci sono le mie due fan che mi trovano sexy…”. Shah Rukh è amatissimo non soltanto dalle donne, ma annovera anche numerosi ammiratori. E quando in sala accenna a un passo di danza citando una canzone di uno dei settanta film girati in vent’anni, esplode un’ovazione.

Citando Michael Caine, Khan dichiara inoltre: “Un attore non indossa una maschera, piuttosto deve essere in grado di togliersi la maschera. Recitare non significa mostrare allo spettatore chi sei tu, bensì dimostrargli chi lui veramente è”.

Quanto al cinema indiano, l’attore afferma: “Il nostro Paese è stato l’unico a resistere all’invasione di Hollywood, in quanto abbiamo conservato il nostro star system. Noi abbiamo un modo semplice di raccontare le storie. Dicono che la nostra cinematografia sia di evasione, perché ricca di balli e canzoni, ma io credo che invece sia molto realistica. Tuttavia, dobbiamo lavorare tanto sul nostro prodotto per renderlo maggiormente esportabile, ad esempio diminuendo la durata dei nostri film”. Di certo Shah Rukh è orgoglioso della cinematografia indiana, l’unica in grado di produrre 1000 film all’anno (ben tre film al giorno). E non è tentato da Hollywood, ma preferisce piuttosto realizzare un film che arrivi dritto al cuore, “come il vostro La vita è bella. Sceglierei di partecipare a quell’unico film indiano che tutto il mondo vedrà, piuttosto che a un film occidentale che non lascia il segno”.

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