Departures

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Il film si apre con l’immagine di Daigo (Motoki Masahiro), il protagonista, che guida nella nebbia. La sua voce fuoricampo racconta allo spettatore che egli, violoncellista di talento, ha lasciato Tokyo a causa dello scioglimento della sua orchestra ed è partito con la moglie Mika (Hirosue Ryoko) alla volta della sua città natale, Yamagata, per provare a dare nuovamente un senso alla sua vita.

 

Arrivato nel piccolo centro di campagna, Daigo, alla ricerca di un impiego, s’imbatte in un’offerta di lavoro che sembra avere a che fare con i viaggi e dopo essersi presentato al colloquio convinto di candidarsi per un posto come guida turistica, si ritrova assunto come tanatoesteta.  L’idea di dover preparare i cadaveri -lavarli, vestirli, truccarli- prima della deposizione nella bara, all’inizio disgusta e spaventa il protagonista, che si vergogna a tal punto del suo lavoro da nasconderne la natura anche a sua moglie.

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Quando però vede il suo principale e maestro, il signor Sasaki (Yamazaki Tsutomu), compiere il rito del nokanshi, un preciso susseguirsi di gesti in cui il cerimoniere e i parenti del defunto danno l’ultimo saluto alla salma, Daigo si accorge che il suo mestiere -lungi dall’essere quello del semplice becchino- gli piace proprio perché nasconde moltissima amorevolezza e cura. La vicinanza con la morte, inoltre, lo porta a dare più significato alla sua vita e gli permette di affrontare un passato familiare scomodo e doloroso.

Il violoncello, da questo punto di vista, è il secondo protagonista del film. Infatti, attraverso le note delle melodie imparate da bambino, Daigo fa riemergere i suoi ricordi: l’odio per il padre (un amante della musica fuggito di casa con un’altra donna e per questo mai perdonato) e il senso di colpa per aver abbandonato la madre nei suoi ultimi istanti. E sarà proprio il suo mestiere, così avversato in un primo momento, la risorsa che gli consentirà di trovare una sorta di pace interiore, un equilibrio tra passato e presente.

Il film di Yojiro Takita, vincitore del Grand Prix des Amériques al Montreal World Film Festival nel 2008 e del Premio Oscar come Miglior Film Straniero nel 2009, è una perfetta sintesi di opposti: comicità e tristezza, vita e morte convivono senza soluzione di continuità. La regia, infatti, sfronda tutti gli elementi di troppo e lascia che sia l’indugiare della macchina da presa -sui profili, sui volti, sulle espressioni- e la forza della colonna sonora di Joe Hisaishi (compositore già famoso per aver composto le musiche per diversi film di Takeshi Kitano e Hayao Miyazaki) a comunicare la profondità dei personaggi.

Departures è un film che, come suggerisce il titolo tradotto (il titolo originale è Okuribito e significa letteralmente “colui che accompagna”) racconta di “partenze” e di “ripartenze”: inizia con la partenza di Daigo alla ricerca di sé, si snoda attraverso la dipartita dalla vita della gente che il protagonista prepara prima della cremazione e finisce con una vita che sta per iniziare (una partenza se volessimo essere pedanti….).

E forse è proprio (e solo) a questo proposito che si potrebbe rimproverare qualcosa al film: una ricerca di circolarità tra vita e morte leggermente forzata nel finale e una sottolineatura del superamento del conflitto interiore di Daigo resa in modo palese e un po’ banale. Due nei che, tutto sommato, si riescono a percepire poiché emergono dal perfetto tessuto del film di Takita.

Marta Pirola
Marta Pirola
Laureata in Televisione, Cinema e Produzione Multimediale presso l'Università IULM di Milano dal 2009. Amante del cinema e delle parole da sempre.

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