Regia: Steven Soderbergh
Cast: Terence Stamp, Peter Fonda, Luis Guzman, Lesley Ann Warren, Barry Newman, Melissa George
Trama: L’inglese Wilson (Terence Stamp), attempato rapinatore che ha passato metà della vita al fresco, lascia la madrepatria per recarsi in California e scoprire la verità sulla tragica fine della figlia Jennifer (Melissa George), che negli USA di era legata a Terry Valentine (Peter Fonda), ricco e potente produttore discografico coinvolto in loschi traffici.
Analisi: Spesso si parla di autore per indicare un cineasta che scrive e gira il film, dando vita a un prodotto che è figlio adorato dell’anima del creatore. Per uno come Steven Soderbergh è buona cosa scomodare il termine autore, anche se il nostro non ama imbracciare la penna (ma lo ha fatto, per esempio, con il celebrato lungometraggio d’esordio: Sesso, bugie e videotape); Soderbergh ha infatti costruito negli anni un suo inconfondibile stile mostrativo e narrativo, pronto a cogliere storie (d’altri, va bene) e a restituirle allo spettatore lasciando indubbia traccia, senza paura di suggerire a chi guarda interrogativi sulla sostanza del cinema e dei suoi meccanismi.
La vena
“personale” dell’autore di Atlanta – decisamente meno registrabile
nei suoi tanti film legittimamente commerciali, più tradizionali –
percorre il prezioso L’inglese, opera
d’arte incastrata tra il clooneyano Out of
Sight e l’attillato Erin
Brockovich. Film breve (meno di un’ora e mezza),
L’inglese racconta una bella e semplice
storia di (quasi) vendetta e tardiva maturazione personale che fa
perno sul grande Terence Stamp, dinoccolato
protagonista-manichino dal piglio british, il cuore inquieto e
l’occhio che perfora. Soderbergh racconta frammentando la linea
temporale, confondendo piccoli pezzi di storia, che si mescolano e
inseguono, giocando senza requie con la temporalità della colonna
visiva e della colonna sonora; e dà vita a un dinamico affresco che
molto deve alla fotografia di Edward Lachmann e
che a tratti, di concerto con la recitazione assente di Stamp, con
il goffo evolversi delle scene violente, fa prendere al film pieghe
di sognante irrealtà.
Per rispolverare il passato di Wilson, Soderbergh attinge alla storia del cinema, ripescando Poor Cow, un film di Ken Loach degli anni sessanta proprio con Terence Stamp (che fa il delinquente) uscito poco prima della potentissima hit degli Who The Seeker che apre L’inglese … all’inglese. Uno squarcio in ricordo di Sua Maestà, un istante prima di tuffarsi in cerca di vendetta e verità nel sole e nelle piscine della West Coast. A proposito di musica: è validissima la colonna sonora originale, firmata da Cliff Martinez (batterista dei primi Red Hot Chili Peppers e fedelissimo di Soderbergh), capace di seguire con azzeccati motivi l’enigmatica costruzione del film e i travagli del protagonista. Ottime le prove fornite da tutti gli interpreti – spiccano un falsissimo Peter Fonda e l’immutabile caratterista Luis Guzman – chiamati al difficile compito di recitare per poi finire frullati nella sinfonia audiovisiva di Steven Soderbergh. Dell’autore Steven Soderbergh.