Eragon: recensione del film di Stefen Fangmeier

Eragon film

Eragon è il film fantasy del 2006 di Stefen Fangmeier con protagonisti Edward Speelers (Eragon), Jeremy Irons (Brom), Robert Carlyle (Durza), Sienna Guillory (Aria) e John Malkovich (Galbatorix).

 

Eragon, la trama: La terra di Alagaesia sta attraversando un periodo di grande difficoltà, dopo che i coraggiosi Cavalieri dei Draghi sono stati annientati dal perfido dittatore Galbatorix. Eragon, un giovane contadino, trova un giorno un uovo di drago perso dall’elfa Arya, che cercava di sottrarlo ai soldati del tiranno, che presto si schiude facendo nascere la dragonessa Saphira.

Eragon scopre che il suo destino è diventare un Cavaliere del drago anche grazie a Brom, ex cavaliere che si è rifugiato nel suo paesino e di cui diventa grande amico e che lo fa fuggire quando le truppe di Galbatorix attaccano il suo villaggio.

Eragon inizia il suo percorso di addestramento, ma lutti e battaglie sono sulla sua strada, mentre il legame con Saphira si stringe sempre di più.

Eragon, l’analisi

Sull’onda del rinnovato successo per il genere fantasy, il fenomeno letterario della saga di Alagaesia di Christopher Paolini, cresciuto senza televisione e videogiochi sulle montagne del Montana, e adolescente all’epoca del primo romanzo, ha mietuto successi e si è concluso dopo quattro libri, con Inheritance, creando uno dei tanti casi legati al genere, uno dei più amati di questi ultimi anni,  ma soprattutto nelle librerie.

Come in altri casi, però, al cinema il tutto non ha funzionato e si è risolto in un flop, anche se non così clamoroso come molti dicono: in Italia comunque Eragon è fu il film che incassò di più nel Natale del 2006.

Quello che sulla pagina scritta era incanto e avventura sullo schermo funziona poco, scadendo nel dejà vu e nello scontato: certo, gli echi di Tolkien, Terry Brooks e altri autori fantasy ci sono eccome, ma non sarebbe comunque la prima volta.

Non è comunque tutto da buttare via, anzi. E se il protagonista, il biondo Edward Speelers, è puramente decorativo, la scenografia, gli ambienti, le atmosfere, in cui le foreste ungheresi diventano un regno di favola funzionano allo scopo. Interessante il discorso di recupero della figura del drago, visto da sempre in Occidente come negativo, a differenza da quello che succede in Oriente, e che qui è amico e ispiratore di coraggio. Del resto Saphira, nel libro e nel film, è uno dei personaggi migliori, resa in computer graphic ma incredibilmente viva e vicina all’eroe, uno dei tanti del genere fantasy che lo diventano per caso e loro malgrado.

Una menzione speciale la meritano due vecchie volpi del cinema come Jeremy Irons, l’eroe al tramonto Brom che saprà riscattarsi (e che nella scena della morte citerà Blade Runner) e John Malkovich, satanico dittatore al quale è affidata la scena del cliffhanger finale, che svela che Saphira non è l’unico drago.

Al cinema la saga di Alagaesia si è fermata qui, perché mancava qualcosa come ritmo, atmosfera, storia. Tutte cose presenti nei libri, e i lettori non si sono nemmeno rammaricati più di tanto del mancato appuntamento al cinema con i loro beniamini (fortuna duratura che hanno avuto finora solo i fan di Harry Potter e pochi altri), continuando ad appassionarsi alla versione cartacea. Un’occhiata Eragon cinematografico la merita, ribadendo come spesso accade, e qui ancora in maniera più evidente, che forse fiabe e incanti sulla carta stampata funzionano meglio, persino nell’era degli effetti speciali computerizzati.

- Pubblicità -