In True Detective 1×08, dopo aver interrogato il loro ex-collega Steve Geraci (Michael Harney), Marty (Woody Harrelson) e Rust (Matthew McConaughey) scoprono che a insabbiare la scomparsa della piccola Fontenot nel ’93 fu proprio lo sceriffo di Erath, Ted Childress, figlio illegittimo del potente capofamiglia della Lousiana Sam Tuttle.
Da qui la fitta rete di politici e uomini di chiesa che si cela dietro le sparizioni e gli omicidi, dietro i riti macabri e la pedofilia si fa più chiara: Sam Tuttle, infatti, era anche il padre di Billy Lee (Jay O. Sanders), il reverendo che promosse la task force per il caso Lange, e lo zio di Edwin Tuttle, allora governatore e ora senatore della Louisana.
Dopo diverse testimonianze, Rust e Marty scoprono che il ‘mostro fatto di spaghetti con le orecchie verdi’ è uno dei nipoti del defunto Sam Tuttle, un uomo con delle cicatrici sulla parte inferiore del volto. Tuttavia, nei registri di Stato non si trovano informazioni precise sugli altri membri della famiglia Childress, fino a che, grazie a un’intuizione di Marty, i due detective risalgono a un certo William Lee Childress che dal ’78 al 2002 ha svolto lavori di manutenzione per la contea insieme al figlio Errol (Glenn Fleshler).
Nonostante l’intricata e fitta rete di nomi, luoghi e date, nonostante gli indizi e i dubbi disseminati lungo gli otto episodi, nonostante la difficoltà nello scoprire e assicurare alla giustizia il principale colpevole dell’omicidio Lange e di molte altre morti, True Detective non è un giallo né un thriller, almeno non nella sua essenza. Le domande che motivavano e ispiravano la narrazione di questa storia lunga 17 anni non erano ‘chi è stato?’ e ‘come ha fatto?’, ma ‘chi sono Marty e Rust?’, ‘cosa succederà a loro due, durante e dopo le indagini?’, ‘ vincerà la luce o l’oscurità?’.
Lo show di Pizzolatto ha usato un mistero solo per scandagliare la natura umana, perciò chi si aspettava un finale a sorpresa o una sconvolgente rivelazione si è reso conto di aver sbagliato show, oltre al fatto di non averlo compreso fino in fondo. La natura di True Detective s’intuiva dal primo episodio ed è stata confermata a partire dagli ultimi minuti del settimo, quando ci è stato mostrato il volto del killer prima ancora che i protagonisti scoprissero la sua identità.
Infatti, anche se Rust incontrò Errol Childress nel ’95, come noi, non sospettava di lui né tanto meno conosceva il suo nome. Questo show è l’insieme delle nostre paure più grandi, degli incubi che cerchiamo di non ricordare al risveglio, delle spaventose vicende a cui non vorremmo credere, è la parte buia del mondo in cui viviamo, dove nascono le lunghe ombre della male e dell’odio.
Glenn Fleshler nel ruolo di Errol incarna spaventosamente tutto ciò, la sua performance mette i brividi per la bravura con cui suscita tanto orrore e disagio in chi guarda. Coloro che criticano la superficialità con cui sono state trattate le vittime o argomenti come la corruzione e l’influenza del potere politico hanno perso di vista l’obiettivo dello show, che non era una denuncia sociale, semmai un appello privato a noi stessi attraverso le azioni dei due protagonisti.
Parafrasando le parole finali di Martin Hart, dobbiamo lottare contro l’oscurità finché possiamo, perché di certo non riusciremo a cancellare tutto il male del mondo, ma fare la nostra parte sarà già qualcosa. E se il messaggio è ancora un po’ troppo amaro, ci pensa l’eterno cinico e fatalista Cohle a sorprenderci, trovando un punto di vista più incoraggiante: “Una volta non c’era che oscurità. Per come la vedo io, è la luce che sta vincendo.”
Di sicuro ha vinto True Detective e, quindi, Pizzolatto, McCounaghey, Harrelson, Fukunaga e Arkapaw, che con il finale di stagione True Detective 1×08 Form and Void hanno incollato allo schermo ben 3.52 m di telespettatori, realizzando il miglior ascolto di tutta la stagione.