Dopo l’appassionata accoglienza riservata a Il ragazzo dai pantaloni rosa – film che ha saputo affrontare con delicatezza e intensità il tema del bullismo e del disagio giovanile – arriva 40 secondi (la nostra recensione), opera del regista Vincenzo Alfieri che si confronta con un’altra tragedia vera, quella di Willy Monteiro Duarte, ucciso a Colleferro nel 2020. La continuità fra i due titoli non è solo tematica ma rappresenta un vero e proprio percorso cinematografico che invita lo spettatore a riflettere sul reale, sulle radici della violenza, e su quanto il cinema possa porsi come specchio della nostra società.
Il film-testimonianza che apre nuove domande
Il ragazzo dai pantaloni rosa raccontava la storia di Andrea Spezzacatena, quindicenne vittima di bullismo e cyberbullismo a causa di un paio di pantaloni diventati rosa. Ha fatto della delicatezza e della sensibilità narrativa la sua forza, restituendo l’urgenza del tema senza disperderla in eccessi.
40 secondi, invece, basa la sua forza sul rigore della cronaca: ripercorre le 24 ore che precedono la tragedia di Willy Monteiro Duarte, “in 40 secondi” quel gesto estremo che ha segnato la morte di un giovane che stava intervenendo per aiutare un amico. Spettacolo, testimonianza e stimolo al dibattito: così 40 secondi diventa un’opera che non solo racconta ma interroga, e lo fa con intensità crescente.
Da uno specchio dell’identità a uno specchio della violenza
Nel primo film, l’attenzione si rivolgeva all’identità, al margine, alla vulnerabilità adolescenziale. Nel secondo, il punto focale si sposta verso la violenza ordinaria e “apparente casuale”: un equivoco, una lite, una decisione — tutto si compie in un tempo brevissimo. È la “banalità del male” ad essere messa in scena, come ricordano già i primi articoli di produzione.
Questo passaggio è rilevante: da un film che aiuta a capire “chi sono i ragazzi che rischiano di essere vittime” si passa a “che cosa accade quando quel rischio esplode e coinvolge tutti noi”. Un salto narrativo che amplia il raggio della riflessione.
Un cinema che si fa impegno sociale
Entrambi i film condividono una stessa casa di produzione e distribuzione, la Eagle Pictures, segno di una linea editoriale chiara: usare il linguaggio del cinema per raccontare questioni sociali urgenti. Il ragazzo dai pantaloni rosa è stato proiettato nelle scuole, ha suscitato dibattiti, ha puntato sul coinvolgimento dei giovani. 40 secondi si inserisce in questo stesso solco, ma con un taglio più duro, più reale. Perché l’impegno non è soltanto raccontare ma scuotere, interrogare, non lasciare ombre.
In un momento storico in cui la violenza giovanile, la discriminazione e il disagio esistenziale sono sotto gli occhi di tutti, queste pellicole assumono un ruolo doppio: quello di intrattenimento e di stimolo culturale. E, in questo senso, vederle in sequenza dà ancora più forza al messaggio.
Perché è importante vederli insieme
-
Vedere Il ragazzo dai pantaloni rosa e 40 secondi rende il percorso più completo: dal microcosmo scolastico al contesto sociale più ampio.
-
Permette di cogliere il “ponte” tra vittima e carnefice, tra fragilità e aggressività, tra silenzio e ribellione.
-
Offre una base per la riflessione personale e di gruppo: per i ragazzi, per le scuole, per chiunque voglia comprendere la complessità delle relazioni giovanili in Italia.
-
Mostra come il cinema italiano stia evolvendo nell’uso della cronaca, non solo come decalogo, ma come racconto umano e partecipato.
Se Il ragazzo dai pantaloni rosa ha aperto una porta sul problema del bullismo e della vulnerabilità adolescenziale, 40 secondi la spalanca verso la dimensione della violenza collettiva, dell’alterità e della responsabilità sociale. Vederli entrambi non è solo una scelta di visione – è un invito all’azione, alla consapevolezza, alla trasformazione.
