Beau ha paura: la spiegazione del finale del film con Joaquin Phoenix

Beau ha paura Ari Aster

ATTENZIONE – L’ARTICOLO CONTIENE SPOILER SU BEAU HA PAURA

Il terzo lungometraggio di Ari Aster, al cinema dal 27 aprile, è sicuramente avvincente per quanto sgangherato. Ci sono molti momenti esilaranti, ma anche qualche scena che meriterebbe un approfondimento e una spiegazione, dal momento che è la prima volta che Aster ci pone di fronte a un racconto così involuto, laddove i suoi film precedenti erano inquietanti ma relativamente semplici nelle loro conclusioni.

Beau ha paura ci porta invece in territori sconosciuti e il suo finale non è proprio diretto ed esplicativo. Dopo che Beau ha affrontato il mondo per tornare dalla madre, che crede morta in un incidente, si trova a fare sesso con la sua cotta d’infanzia, che però muore dopo che lui aveva raggiunto l’orgasmo. L’uomo non aveva mai fatto sesso proprio per paura di morire, e invece si trova a gestire l’improvvisa morte della sua partner e in quel momento, la madre ricompare e gli confessa che tutti i suoi incubi erano veri (compresi un fratello gemello chiuso in soffitta, un padre mostruoso con la forma di fallo gigante) e che la donna gli ha sempre mentito.

Il processo a Beau

Arrabbiato per le menzogne della madre, Beau comincia a strangolarla in un impeto di rabbia. Quando torna in sé, si interrompe improvvisamente, ma lei continua a soffocare e in un rantolo, cade di faccia su un tavolino di vetro. Sconvolto da quello che ha fatto, Beau fugge rapidamente dalla casa, stordito, con la sua espressione congelata in una smorfia di paura. Poi si imbatte in un motoscafo lungo l’argine di quello che sembra il mare, comincia una breve navigazione che lo porta, attraverso un tunnel, in una specie di stadio, dove, ad attenderlo, c’è un numeroso pubblico e persino sua madre, tornata di nuovo dalla morte.

Con Beau al centro di questo stadio, che galleggia nell’acqua, inizia un processo. Si tratta di un momento in cui tutti i suoi numerosi difetti vengono passati al setaccio. A perseguire il processo c’è il dottor Cohen, interpretato da Richard Kind in una forma rara, un amico di famiglia che, fino a questo momento, avevamo sentito solo nelle telefonate.

Il suo avvocato difensore è minuscolo in confronto, riesce a malapena ad alzare la voce quanto basta per farsi sentire prima di essere gettato sugli scogli e ucciso. È un processo farsa in cui la colpevolezza di Beau è quasi certa. Questo culmina con la barca che viene capovolta con lui che presumibilmente annega sotto di essa mentre la folla, come se fosse annoiata dall’intera faccenda, si allontana mentre scorrono i titoli di coda. È quasi deludente, come scena, considerata l’enfasi che era stata la cifra distintiva del viaggio, fino a quel momento.

Tutto è uno scherzo?

Detto questo, dovrebbe essere chiaro che il film potrebbe tranquillamente essere uno scherzo. Dalla telefonata in cui Beau viene informato della morte di sua madre alla scoperta fatta in soffitta, Aster sta sfoderando un tono di racconto che era presente in maniera sottintesa nei suoi lavori precedenti. Ha creato uno spettacolo dell’orrore esistenziale che si intreccia con l’umorismo assurdo per mettere a nudo la rottura di un uomo. Nel film, quest’uomo è Beau, e porta con sé molti traumi. Riprendendo quel punto, è chiaro che il film parla del modo in cui la vita può essere un accumulo di fallimenti che si rivelano troppo pesanti da sopportare. Si potrebbe leggere Beau come il frutto dell’immaginazione di Aster che dà vita a un personaggio basato sulle sue paure profondamente radicate. Con questo in mente, possiamo anche fare il passo successivo e ipotizzare che il film parli anche del suo rapporto con il pubblico.

Beau e Aster hanno più paura di noi

Quando Beau raggiunge la fine del suo cammino, non trova la salvezza. Ha intrapreso un viaggio da eroe quasi classico, completo dell’attraversamento di una soglia letterale per uscire dal suo appartamento, anche se in realtà non è stato realizzato nulla. Dato che Beau è costretto a guardarsi indietro e a esaminare tutto ciò che ha fatto, adesso ha anche tutta una serie di testimoni, gli spettatori, che possono sezionare e smontare ogni passo che ha fatto per arrivare dov’è.

Indipendentemente dal fatto che Beau debba essere letteralmente una versione di Aster o meno, c’è qualcosa che ogni creatore lascia di se stesso quando crea qualcosa. Ogni decisione che prendono i personaggi viene quindi passata al microscopio per essere analizzata. Mentre Beau viene quindi annientato, incapace di difendersi da tutto ciò che gli viene posto contro, Aster si umilia davanti al pubblico. Sebbene molti si siano affrettati a definire il film pretenzioso, c’è anche qualcosa di profondamente senza pretese in questo finale.

Il fatto che ci ritroviamo a vedere il pubblico apparentemente ambivalente allontanarsi, come se non gli importasse davvero di quello che è successo, è significativo. Anche dopo che il personaggio che abbiamo conosciuto è morto, la storia non è finita. C’è un’iper-consapevolezza di come tutti coloro che vi hanno preso parte (inclusi noi come pubblico) ora vivranno le proprie vite. Noi come spettatori abbiamo trascorso tre ore a dare un’occhiata nella mente di Aster proprio come nella mente di Beau. Il processo si è concluso con l’annullamento di quest’ultimo. Questa distruzione non è una risurrezione o rinascita come accadeva in Midsommar o Hereditary.

Invece, c’è una finalità, un riconoscimento da parte di Aster che tutto ciò che realizzerà può essere morto e dimenticato dagli innumerevoli membri del pubblico che se ne andranno senza mai più pensarci. Serve come confronto finale con la paura. Che si tratti di un giudizio sul proprio lavoro, sulla propria vita o su una combinazione di entrambi, questa distruzione porta con sé una desolazione. Non importa quanto uno dia di se stesso per raccontare una bella storia, come lo stesso Beau ha immaginato in vividi dettagli a metà film, c’è sempre la cupa possibilità che morirai annegato, nell’indifferenza di tutti.

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