Die Hard – Un buon giorno per morire (qui la recensione) è il quinto ed ultimo capitolo della celebre saga iniziata nel 1988 con Trappola di cristallo e che ha per protagonista John McClane, interpretato come sempre da Bruce Willis. Dopo oltre vent’anni dal primo film, la pellicola ripropone il carismatico poliziotto di New York in un contesto internazionale, spostando l’azione da città americane iconiche a scenari tra Stati Uniti e Russia. Per Willis, il film rappresenta uno dei ruoli più simbolici della sua carriera, confermando McClane come uno dei personaggi più iconici del suo repertorio.
Rispetto ai capitoli precedenti, Die Hard – Un buon giorno per morire introduce dunque novità nel ritmo e nelle ambientazioni: le sequenze d’azione si allargano su territori internazionali e le minacce diventano più complesse e articolate, con un intreccio che coinvolge parenti di McClane e mercenari stranieri. La presenza del figlio di John, Jack McClane, porta inoltre una dinamica familiare inedita nella saga, creando un mix tra azione pura e legami personali che aumenta il coinvolgimento emotivo dello spettatore. L’umorismo irriverente e le esplosioni spettacolari restano fedeli alla tradizione della serie, ma con un approccio più moderno e globale.
Il film, pur seguendo la formula consolidata della saga — McClane contro un nemico apparentemente invincibile — si distingue per l’ambientazione russa e per il coinvolgimento della famiglia McClane nella trama, elementi che ampliano il respiro narrativo e la posta in gioco. Inoltre, la regia punta a enfatizzare il contrasto tra vecchia scuola e modernità, mostrando un eroe che deve adattarsi a tecnologie e situazioni contemporanee senza perdere la propria essenza. Nel resto dell’articolo si proporrà dunque una spiegazione del finale, analizzando come si chiude la vicenda e quale impatto ha sulla saga e sul destino di John McClane.
La trama di Die Hard – Un buon giorno per morire
Nel quinto capitolo della saga, John McClane lascerà gli Stati Uniti per recarsi a Mosca, in Russia, dove si trova il figlio Jack. Il suo obiettivo è infatti quello di riallacciare i rapporti con il giovane, ma prima di poter fare ciò dovrà risolvere un rognoso problema. Jack è infatti incarcerato e in attesa di un processo per omicidio. Nel tentativo di salvarlo, McClane si ritrova coinvolto in un’esplosione, durante la quale Jack e l’ex trafficante d’armi Yuri Komarov riescono a fuggire. Il poliziotto ha così l’occasione di ricongiungersi con il figlio, il quale però si dimostra distaccato nei confronti del padre. Prima di risolvere le loro questioni personali, i due dovranno prima riuscire a salvarsi da una minaccia incombente.
Ben presto, infatti, si scopre che il mandante dell’esplosione è Caghari, ex trafficante collega di Komarov. A causa del pentimento di quest’ultimo, ora diventato un informatore della CIA, il terrorista è determinato a rintracciarlo e ucciderlo. La sua paura è infatti che questi possa diffondere informazioni compromettenti, che rischierebbero di ostacolare la sua candidatura al Dipartimento della difesa russo. McClane, Jack e Komarov si ritrovano così a dover scappare dai loro nemici, cercando allo stesso tempo il modo di poter smascherare il piano del corrotto Caghari.
La spiegazione del finale del film
Il terzo atto di Die Hard – Un buon giorno per morire si apre con John e Jack McClane in Ucraina, pronti a recuperare un file segreto che si rivela essere una copertura per un deposito di uranio. Giunti sul posto, scoprono il piano ingegnoso di Komarov e di sua figlia Irina, che mirano a impossessarsi del materiale nucleare per il mercato nero. Ne segue una sequenza frenetica di inseguimenti, scontri a fuoco e manovre rischiose, con John e Jack che devono affrontare non solo i mercenari, ma anche la tensione derivante dalla sicurezza del materiale e dalle dinamiche familiari irrisolte tra padre e figlio.
Nel climax del film, la tensione raggiunge il culmine con l’inseguimento del Mil Mi-26 e la resa dei conti tra McClane e i criminali. John utilizza il camion agganciato all’elicottero per destabilizzare la macchina da guerra volante, mentre Jack affronta direttamente Komarov e lo elimina facendolo precipitare sulle pale rotanti dell’elicottero. Irina, in un disperato tentativo di vendetta, cerca di far schiantare l’elicottero contro l’edificio, ma John e Jack si lanciano in acqua all’ultimo momento, salvandosi mentre la minaccia viene definitivamente neutralizzata. La sequenza chiude l’arco narrativo con adrenalina e risoluzione simultanea della crisi nucleare.
Questo finale permette di chiudere i temi centrali del film: la collaborazione familiare e la fiducia tra padre e figlio, unite alla responsabilità morale di fermare individui corrotti con accesso a potere distruttivo. La pellicola mostra come John e Jack, pur con metodi diversi e caratteri conflittuali, riescano a superare incomprensioni personali e a unire le forze per affrontare una minaccia comune. L’azione spettacolare non è solo fine a se stessa, ma diventa strumento per sviluppare l’arco emotivo dei protagonisti, enfatizzando legami e resilienza.
Inoltre, il confronto tra vecchia scuola e nuove minacce evidenzia il tema ricorrente della saga: un eroe che, nonostante l’età e i cambiamenti del mondo attorno a lui, riesce a prevalere grazie all’esperienza, all’ingegno e alla determinazione. L’integrazione del figlio Jack come partner attivo non solo arricchisce il rapporto familiare, ma suggerisce anche la continuità generazionale di un ruolo eroico. La risoluzione finale sottolinea il concetto di giustizia personale e collettiva, con John che conserva la sua integrità e capacità di affrontare il pericolo.
Infine, Die Hard – Un buon giorno per morire lascia un messaggio di chiusura della saga: la protezione della famiglia, la giustizia contro i corrotti e il coraggio personale sono al centro della narrazione. Con il ritiro dalle scene di Bruce Willis, questo capitolo funge da epilogo definitivo per John McClane, offrendo agli spettatori una conclusione soddisfacente e ricca di azione, mentre celebra l’eredità di uno dei personaggi più iconici dell’action contemporaneo e chiude con forza il percorso iniziato più di trent’anni prima.


