Nel finale di Hood Witch – Roqya di Saïd Belktibia, la tensione spirituale e sociale che attraversa tutto il film raggiunge il suo culmine. Dopo aver tentato di riscattarsi grazie alla sua app Baraka, creata per connettere i guaritori spirituali con chi cerca aiuto, Nour si ritrova intrappolata in un meccanismo che non controlla più. La promessa di redenzione e di equilibrio che aveva motivato la sua impresa si trasforma in un incubo morale.
La pellicola, interpretata magistralmente da Golshifteh Farahani, non si conclude con una vittoria o una sconfitta, ma con una presa di coscienza: la protagonista scopre che il potere della roqya — la pratica di esorcismo e guarigione coranica — non è solo un atto spirituale, ma un riflesso delle paure, delle fragilità e delle contraddizioni di chi vi si affida.
Come abbiamo raccontato nell’approfondimento dedicato alla storia vera di Hood Witch – Roqya, il film non si basa su fatti realmente accaduti, ma affonda le sue radici nella realtà sociale delle periferie francesi e nell’uso contemporaneo della spiritualità come via di sopravvivenza. È proprio questo legame con la realtà a rendere il finale così potente: anche se fittizia, la storia di Nour parla di vite autentiche e di dilemmi universali.
La discesa di Nour: dal desiderio di salvezza all’illusione del potere
Nel corso del film, Nour passa dall’essere una piccola contrabbandiera a una sorta di “intermediaria spirituale” digitale. L’app Baraka, nata con buone intenzioni, diventa presto un mercato ambiguo dove fede e profitto si confondono. Il suo successo attira attenzione, denaro, ma anche oscurità. Nour inizia a perdere il controllo del progetto e di sé stessa, mentre intorno a lei cresce un clima di sospetto e paura.
Il finale mostra questa trasformazione come una discesa interiore. Nour non è più soltanto un’imprenditrice o una truffatrice: è una donna che, cercando la guarigione per sé e per gli altri, finisce per diventare vittima del sistema che ha creato. La roqya, che nel film rappresenta la speranza di purificazione, si ribalta nel suo contrario: un rituale di potere e dominio che consuma chi lo pratica.
Belktibia costruisce la scena conclusiva come un rito speculare al titolo: Hood Witch — la “strega della periferia” – non è una figura demoniaca, ma un simbolo della distorsione contemporanea della spiritualità. Nour, che voleva solo riscattarsi, finisce prigioniera della stessa logica che aveva voluto combattere: quella che trasforma la fede in merce e la sofferenza in occasione di guadagno.
Il significato simbolico della “guarigione”
Nell’ultima parte del film, la roqya diventa un concetto ambivalente. Da un lato, è il rito di liberazione dal male, dall’altro rappresenta la tentazione di controllare la fede per trarne vantaggio. Nour comprende troppo tardi che nessuna formula o applicazione può davvero curare l’anima se alla base non c’è empatia.
Quando la vediamo affrontare il fallimento e la perdita, il film suggerisce che la vera roqya non è quella recitata con parole sacre, ma quella che nasce dal riconoscere i propri errori e accettare la vulnerabilità. La protagonista, svuotata e lucida allo stesso tempo, guarda il proprio riflesso: non c’è più magia, solo umanità. È una guarigione simbolica, ottenuta attraverso il dolore e la presa di coscienza.
Un finale aperto, sospeso tra fede e disillusione
Il film si chiude con un’immagine ambigua e potente: Nour si allontana, lasciandosi alle spalle l’app, i guaritori e il mondo che aveva costruito. Non c’è redenzione completa, ma neppure condanna. Belktibia sceglie un finale aperto, dove la protagonista resta sospesa tra due mondi – quello della spiritualità che promette salvezza e quello della realtà che chiede responsabilità.
La luce fioca, i colori freddi e il ritmo lento dell’ultima sequenza rimandano a una sensazione di sospensione, come se la roqya non fosse finita ma avesse cambiato forma. Nour ha perso tutto, ma ha anche ritrovato se stessa: non più mediatrice di miracoli, ma donna consapevole del proprio limite.
Il messaggio del film: fede, potere e sopravvivenza
Il finale di Hood Witch – Roqya riassume la visione del regista: la spiritualità non è mai neutra, ma riflette le tensioni del mondo moderno. In una società dove la religione si mescola con la tecnologia, la fede rischia di diventare uno strumento di potere anziché una via di liberazione.
Belktibia non giudica, ma invita lo spettatore a porsi una domanda: dove finisce la fede autentica e dove inizia l’illusione del controllo? Attraverso il destino di Nour, il film mostra che la vera magia non è quella della roqya, ma quella — più fragile e reale — di chi riesce a perdonare sé stesso e a ricominciare.