Nel 2013, i 180 minuti di follia e sregolatezza inscenati da Martin Scorsese in The Wolf of Wall Street ci avevano drogato e sedotto come un’iniezione di euforia e brutalità, di vita e di morte, e per tutta la durata del film l’assuefazione aveva raggiunto sensazioni simili al vuoto che si prova prima di una lunga discesa sulle montagne russe. L’unico momento di lucidità coincideva con l’arrivo di una ragazza bionda dalle forme lineari, nemmeno volgari ma pericolosamente sensuali, che irrompe nel caos di una festa fasciata da un abitino succinto e azzurro.
Margot Robbie debuttava così tra i grandi, nuda come un neonato di fronte al mondo intero e tutti, o quasi, si sono innamorati: a Hollywood, dopo il suo exploit, la chiamano “L’erede contemporanea di Marilyn Monroe e Grace Kelly”, “Una principessa Disney vivente”, addirittura “La perfezione assoluta della giovane femminilità”. La sua è una bellezza consapevole, di questi tempi molto rara, che il destino riserva a pochissimi rappresentanti donne in un’industria meschina e superficiale.
D’altronde già nel presentare il personaggio di Naomi Lapaglia, la seconda moglie di Jordan Belfort, Margot Robbie sembrava avere le idee chiare: “Naomi sa che il suo corpo è la sua unica forma di valuta in questo ambiente. Così, quando Martin stava cercando di darmi una mano, e ha detto che nella scena in cui lei seduce Jordan forse avrei potuto avere un accappatoio, ho risposto che lei non lo avrebbe fatto. Lei deve essere nuda. Deve mettere le carte sul tavolo”.
Nata nello stesso anno di Jennifer Lawrence, Kristen Stewart ed Emma Watson, tre eroine che caratterizzano bene questa generazione di attrici, lontana però dalle luci dello star system, cresce in Australia con la mamma Sarie che ha allevato quattro figli da sola. Sul web circola una foto di lei e Margot che brindano con un bicchiere di champagne, risale a qualche tempo fa ed è stata scattata per festeggiare un evento molto importante.
Con i primi guadagni “americani”, l’attrice del Queensland aveva estinto il mutuo che gravava sulla casa di famiglia, tra le ragioni della sua anticipata maturità: appena sedicenne infatti, Margot Robbie contribuiva alle spese domestiche facendo tre lavori, dunque non sorprende affatto che a soli 26 anni, dimostri un’età superiore a quella reale, di una ragazza che oggi vive a Londra insieme a cinque amici. Una specie di piccola confraternita insomma.
Di recente, in occasione dell’uscita di The Legend of Tarzan, le hanno chiesto se il fatto che interpretasse sempre donne forti fosse uno specchio della sua condizione o semplicemente un desiderio nascosto. “Vorrei essere forte come quelle donne, ma non sempre ci riesco. Mia madre lo è, il mio punto fisso, la mia ispirazione”.
Bionda per Scorsese, una sorta di aggiornata versione di Cathy Moriarty in Toro Scatenato, cade nei luoghi oscuri dell’anima grazie ad un dramma indipendente, Z for Zachariah, dove veste con estrema naturalezza i panni di Ann Burden, una sopravvissuta al disastro nucleare che ha messo in ginocchio il pianeta Terra.
Non era un ruolo facile, sia chiaro, doveva sembrare una teenager (come nel libro da cui è tratto il film) con diversi ostacoli mentali e barriere fisiche da abbattere, soprattutto nel contatto con altri esseri umani dopo un prolungato periodo di solitudine. Craig Zobel, il regista di Z for Zachariah, riesce a sottrarle ogni velleità femminile facendo emergere un’inaspettata forza dello sguardo, talvolta sospeso in uno stato a metà fra profonda timidezza e fiera indipendenza, con il risultato che, ancora una volta, è lei il vero punto di luce in una stanza buia, il tocco di colore su una tela in bianco e nero.
Margot Robbie, diversamente da personaggio a personaggio, è un’attrice che aggredisce lo schermo e non c’è modo di sottrarsi a questo “attacco” prorompente, come risulta impossibile resistere all’imbranata e bellissima Jess Barrett di Focus, la commedia di John Requa e Glenn Ficarra che la vede protagonista insieme a Will Smith. “Il mio segreto per ottenere un lavoro? Aggredire sempre i colleghi durante i provini. Fidatevi, è un metodo infallibile” ha detto ridendo.
Il “metodo Robbie” prevede molteplici direzioni, perché chi abbandona presto il nido familiare sente quasi l’esigenza di cambiare prospettiva ed esplorare la varietà di un mestiere (quello dell’attore), un po’ per sopperire alle evidenti mancanze, un po’ per cavalcare le correnti della gioventù.
Nell’età in cui sembra appropriato compiere un rito di passaggio, Margot Robbie sceglie due vie di contrasto, mai così lontane per genere e contenuti: nel primo dei blockbuster estivi che la vedranno protagonista, The Legend of Tarzan, è una moderna Jane dalle promettenti aspettative, purtroppo meno emancipata di quanto dichiarato da lei stessa (“Per nessun motivo avrei accettato di interpretare una damigella in pericolo, ma questa Jane era diversa”) e più somigliante ad una Fay Wray degli anni d’oro; il secondo evento cinematografico della stagione è un atteso cinecomic, Suicide Squad, che nel mercato attuale equivale a ciò che i grandi classici di avventura rappresentavano per il secolo scorso.
Harley Quinn è l’evoluzione naturale di quei personaggi femminili che in passato si ritagliavano uno spazio minimo negli ampi scenari dell’epica maschile, e che oggi, al netto di sudate conquiste sociali, sono diventate quasi l’attrattiva maggiore per il pubblico. Oltretutto, queste nuove eroine sono l’esatta antitesi delle loro madri, anche esageratamente emancipate (pensate alle inquadrature ammiccanti già presenti nel trailer di Suicide Squad) ma fiere di “vendere” il proprio corpo dopo anni di prigionia.
Di lei tutti parlano con ammirazione. Jared Leto ha detto che “Si è presa la responsabilità di un ruolo che altre persone avrebbero trovato difficile, forse impossibile, e l’ha elevato a qualcosa di spettacolare” e che “Margot è stata una scoperta rara ed esplosiva, basti pensare a come teneva testa a Leonardo Di Caprio, brillando di luce propria”; l’altra sua pazza collega di Suicide Squad Cara Delevigne, che dell’esposizione del corpo ha fatto il suo lavoro sulle passerelle, ha aggiunto che “In questo mondo di celebrità, tante persone si comportano come se fossero sempre osservate. Margot non agisce così, continua a ballare incurante dello sguardo degli altri”.
I registi poi che hanno avuto la fortuna di dirigerla, amano la sua modestia, il suo pragmatismo, la sua ineffabile intelligenza e la facilità con cui disegna la vera bellezza del mondo. Quella di un tramonto mozzafiato che promette un’alba ancora più luminosa.