Nightmare Before Christmas: trent’anni fa nasceva la favola dark di Tim Burton

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“Ho dentro me che cosa non so, un vuoto che non capirò. Lontano da quel mondo che ho, c’è un sogno che spiegarmi non so”, cantava Jack Skellington al chiaro di una pallida luna, nella notte, sulla punta di una collina dentro un cimitero. Una scena iconica, proprio come il personaggio che ne è protagonista, passati alla storia in Nightmare Before Christmas, film firmato Tim Burton e diretto nel lontano 1993 da Henry Selick.

 

Per celebrare il trentennale di una pellicola diventata nel tempo uno dei più grandi successi dell’animazione, non si poteva che iniziare da una sequenza nella quale si condensano alcuni dei temi portanti del cinema di Burton: il sentirsi incompresi, l’essere freak… i cimiteri, che per il regista sono uno dei suoi luoghi di pace.

Ma Nightmare Before Christmas è prima di ogni cosa un cult indiscusso, un classico, fruito da intere generazioni che ancora oggi amano e si appassionano al Re delle zucche e a Halloweentown. Perché la sua storia e il suo main character Jack, non solo sono i protagonisti perfetti per un’ideale serata a tema Halloween, ma rappresentano anche, per il cinema, l’irrompere di un immaginario fresco e originale e, per Tim Burton, l’espressione totale della sua personalità e creatività, esplosa in un’opera che è riuscita a costruire un mondo inedito e stravagante in cui immergersi e da cui attingere.

Fra poesia e tecnica: la nascita del film

Nella mente di Tim Burton, Nightmare Before Christmas nasce subito dopo Vincent, cortometraggio del 1982 realizzato in stop motion. “L’idea di partenza di Nightmare ha molto a che vedere con gli special televisivi come Rudolph e il Grinch”, racconta il regista nel suo libro Burton racconta Burton, all’epoca rapito dalla tecnica a passo uno. Per qualche tempo, però, il progetto rimase una bozza, un pensiero; Burton aveva cominciato a lavorarci quando ancora era alla Disney e la scelta, al tempo, era se farne proprio uno special stagionale oppure un cartone animato. Entrambe soluzioni che però a lui non piacevano affatto. Alla fine, Burton riuscì a stipulare un accordo con gli Studios della Casa di Topolino nel 1990, e così un anno dopo iniziò la sua produzione sotto la regia di Henry Selick, al quale aveva passato il testimone poiché impegnato con Batman – Il ritorno.

Nightmare Before Christmas, nato da una poesia dello stesso regista che a sua volta si ispira a un’altra di Clement Clarke Moore, doveva però essere in stop-motion. Una tecnica d’animazione a cui Burton è molto affezionato e che ha sicuramente contribuito al successo del film.

Una delle difficoltà maggiori riscontrate nella creazione proveniva però dai suoi personaggi, a cui bisognava dare espressioni credibili nonostante molti di questi fossero senza occhi, come Jack, a dir poco bizzarri. Nonostante questo, la stop motion era l’opzione migliore affinché il lavoro fosse il più vicino possibile a come era stato pensato. “Con questo tipo di personaggi e immagini”, dice ancora Burton, “non potevamo usare altro che l’animazione a passo uno. Ricordo che ogni inquadratura, ogni singola ripresa, corrispondeva a una piccola botta di energia. (…) È stato lì che ho capito che se l’avessimo girato con degli attori in carne e ossa o se ne avessimo fatto un cartone animato non sarebbe stata la stessa cosa. L’animazione a passo uno possiede un’energia che nessun’altra tecnica può dare”.

Jack Skellington e il romantico filosofeggiare

Oltre all’aspetto puramente tecnico e al percorso evolutivo del film, a rendere così iconico Nightmare Before Christmas, ma anche così importante, è il suo protagonista, Jack, un freak, chiaramente un alter ego animato di Tim Burton. Il regista di Burbank si è sempre sentito un outsider sin da quando era piccolo; un diverso, un incompreso, avvolto da una costante malinconia, come lui stesso ha raccontato parlando della sua infanzia. Con Nightmare Before Christmas non è la prima volta che porta in scena personaggi che si sentono smarriti, di fronte al bivio dell’esistenza, diversi o in crisi. Fra gli esempi più emblematici abbiamo Edward mani di forbice, Victor, il Cappellaio Matto o la più recente Mercoledì. Ciò che però rende speciale Jack Skellington è il suo romantico filosofeggiare sull’esistenza, il suo enunciare i propri desideri e sogni come un poeta, nonostante non sappia quali essi siano, e il voler trovare spiegazione a qualcosa che una spiegazione non ha, come l’essenza del Natale.

Tutto questo nasconde nel sottotesto un pensiero sui misteri della vita, sulla misticità delle cose, sull’ignoto, sul ciò che non si potrà mai conoscere a pieno, gli elementi che più affascinano lo stesso Burton. Inoltre, proprio come accade con Guillermo del Toro, il regista si sente vicino ai mostri perché pensa che la loro identità non sia davvero capita. Averne paura è la prova di come spesso ci si lasci influenzare solo dall’idea che si ha di qualcosa o qualcuno che non è come noi, pur non rispecchiandone la realtà, e ci invita ad andare oltre l’apparenza per arrivare al vero cuore delle cose (o delle persone). Questi, come dice lui stesso, “venivano considerati orripilanti e cattivi, anche se non lo erano. E lo stesso succede nella vita. La gente spesso viene percepita come non è. Una situazione nella quale mi ero trovato anch’io e non mi era piaciuta per niente. E poi ho sempre amato quei personaggi incompresi ma pieni di passione e sentimenti. Jack è simile a molti di quei personaggi della letteratura classica che sono bruciati da una passione, dal desiderio di fare qualcosa che gli altri non capiscono.”

L’immortalità di Nightmare Before Christmas

Tim Burton ha perciò arricchito la sua filmografia con una storia immortale, che custodisce al suo interno dei messaggi incisivi, che sottolineano come Nightmare Before Christmas sia, sì, un fenomeno della cultura pop e – oramai – un brand, ma soprattutto un film abbastanza denso, con un grande cuore, in grado di dialogare con ogni tipo di spettatore. Ed è forse questo uno dei motivi per cui è diventato un cult, anche se all’inizio non ha avuto un’accoglienza tale da far pensare che lo sarebbe stato (quando debuttò guadagnò solo 50 milioni di dollari, per poi arrivare a 91 milioni successivamente).

Si è spesso discusso su quali fossero le colonne tematiche portanti della pellicola, e addirittura quale fosse la sua natura: un film su Halloween o sul Natale? Nightmare Before Christmas è innanzitutto un film sul valore delle festività, che si susseguono secondo uno specifico rito di passaggio. Nel raccontare il momento a cavallo tra le due Feste, Burton ci parla delle differenti culture che dominano la nostra società, delle loro bellezze, delle usanze, del loro essere speciali per ognuno di noi, e per ognuno in modo differente. Ci parla di come le percepiamo, perché queste festività aiutano a “darti un senso di luogo”, di appartenenza, in un certo senso anche di libertà.

La magia di Nightmare Before Christmas, mentre mescola Halloween con il Natale, sta proprio qui. E Halloween è la chiave perfetta per decodificarne le tematiche, in quanto è “il momento in cui tutte le regole vengono sospese e puoi diventare quel che ti pare. È la fantasia a dettare le regole. È una festa spaventosa, ma in modo divertente. Nessuno cerca di spaventare gli altri. Piuttosto di divertirli con la propria mostruosità” (leggi unicità), e questo, quindi, è anche “il succo di Nightmare”. Provando a diventare Babbo Natale, Jack capisce infine che ciò che lega le due feste è il loro scopo finale: quello dell’unione trai diversi, che siano giocattoli, zucche o ragnetti. E l’operazione meticolosa sui personaggi di Nightmare Before Christmas, la cura dei modellini, la loro forte plasticità ed espressività, combinata alla colonna sonora memorabile di Danny Elfman che ne enfatizza le atmosfere contribuiscono a renderlo il cult senza tempo che oggi si ama ancora guardare. E che ricorda, più di ogni altra cosa, quanto sia essenziale abbracciare le nostre stranezze, perché sono quelle che ci rendono unici.

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